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DARK NIGHT DI TIM SUTTON

Un ragazzo solo, abbandonato a se stesso fin da bambino, trascorre le sue giornate barricato in casa, tra videogames, internet e la noia di un quartiere dormitorio in periferia. Non ha amici, non ha interessi, non ha abitudini e questo aumenta la sua frustrazione. L’intento di Dark night è raccontarci una notte buia metaforica, quella vissuta dal protagonista che ha visto lentamente il sole tramontare su se stesso, fino al momento in cui regna il buio totale. Il 20 luglio 2012, durante un’anteprima cinematografica, James Eagan Holmes, questo il nome del ragazzo, entra in sala armato di fucile, incappucciato, vestito di nero e con una maschera antigas. In questo modo, uccide 12 persone e ne ferisce altre 70. A seguito della sparatoria, James subisce un processo molto lungo, anche perché gli psichiatri gli diagnosticano una forma di disturbo schizofrenico. Con l’aiuto degli avvocati, il caso viene archiviato. Soltanto lo scorso 26 agosto, James è definitivamente condannato a 12 ergastoli per omicidio e possesso di armi da fuoco.
Sembra la trama perfetta per ripercorrere le tappe principali del massacro di Aurora, come oggi viene ricordato. Le aspettative potrebbero lasciar pensare a un film d’azione e giustizia, ma non è affatto così. Al posto delle azioni, della violenza e delle interminabili discussioni in tribunale e negli ospedali, Tim Sutton ha preferito offrire un prodotto autenticamente artistico. Lo si capisce sin dalla prima inquadratura dove il paesaggio ripreso dall’alto appare nelle sembianze di un dipinto. Lo si capisce dalla quasi inesistenza di montaggio e dai lunghi primi piani con telecamera fissa. La bellezza e la noia della natura e della quotidianità, sovrastano nettamente quei pochi dialoghi di banale importanza presenti in alcune scene. Seppur interrotti da alcune canzoni, scritte e interpretate dalla cantautrice canadese Maica Armata, le vere parole e la vera musica che lo spettatore riesce ad apprezzare sono il silenzio. Un silenzio così profondo da lasciarlo molto inquieto. Spesso non c’è spazio nemmeno per altri suoni come i motori delle auto che passano ed il vento che soffia. Una scena su tutte, lo studio accurato della strada che conduce al cinema, in cui il protagonista mette in atto il suo progetto usando google map, spostandosi tra un fotogramma e l’altro attraverso un clic.
Anche le inquadrature assumono la funzione di fotogramma. Le scene di azione sono ridotte al minimo per lasciare spazio a immagini ferme in presa diretta: lo sguardo di James seduto in poltrona o a vedersi riflessa la propria immagine con i capelli tinti di rosso; una ragazza che mentre fa il bagno nel mare, resta a lungo sott’acqua ferma con i piedi sollevati da terra, scene che appaiono sullo schermo come dipinti. Un pregio, ma anche un grande difetto per l’ultimo film di un Tim Sutton, per nulla interessato a un prodotto narrativo tradizionale. La storia scorre in modo eccessivamente lento. Nel corso dell’anteprima svoltasi ieri alla sede dell’Anica a Roma, non era difficile individuare volti annoiati. Non consigliamo la visione di questo film a tutti. Il pubblico a cui si rivolge Sutton è infatti quello che ama un cinema più raffinato e non sempre espressione di un significato preciso. Il riferimento va ad alcuni film di Truffaut, Hammer, Tarkovskij, Sokurov e, per citare qualche nome italiano, Bertolucci e Antonioni. Per chi avesse voglia di avventurarsi, contemplare e “digerire” un’opera come Dark night, l’appuntamento è dal 1° marzo, sicuramente in qualche luogo d’essai. Proporre questo film in sale in cui prevalgono lungometraggi più commerciali, sarebbe un bel punto interrogativo.

Eugenio Bonardi