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DOVE CADONO LE OMBRE di Valentina Pedicini alle Giornate degli Autori di Venezia 74

Dove Cadono le Ombre
Dove Cadono le Ombre

“Dove cadono le ombre” racconta la dolorosa presa di coscienza di Anna, vittima divenuta carnefice, una giovane infermiera che lavora nel medesimo istituito in cui è stata rinchiusa nell’infanzia. Un’infanzia di orrori e privazioni, che la sradicò dai suoi cari e dal suo ambiente trapiantandola in un non-luogo votato a folli sperimentazioni scientifiche su bambini appartenenti ad un’etnia nomade ritenuta inferiore e pericolosa. Quel “palazzo di concentramento” si trova in Svizzera e i soprusi hanno coinvolto la popolazione jenisch per mezzo secolo (programma “Kinder der Landstrasse”, 1926-1973).
Adesso la situazione sembra essersi capovolta: ospiti dell’istituto sono degli anziani autoctoni e a badar loro sono proprio due di quei bambini diventati adulti, Anna e Hans. Quest’ultimo, da quegli anni terribili, ha ereditato un evidente deficit mentale che lo ha bloccato all’età infantile. Sebbene in altre forme, nemmeno Anna però ha compiuto il passo decisivo vera l’età adulta: sotto i suoi lineamenti glacialmente angelici pulsa un mondo sepolto che l’inatteso ricovero nell’istituto dell’anziana Gertrud, colei che fu la spietata dottoressa dell’orfanotrofio, farà esplodere e venire a galla.

Dopo una solida, coraggiosa e premiata formazione nel documentario (diploma allo ZeLig di Bolzano) e l’esordio nella finzione con il cortometraggio “Era ieri” (31. Settimana Internazionale della Critica a Venezia 73, 2016), Valentina Pedicini porta quest’anno a Venezia il suo primo lungometraggio, prodotto da Fandango. Un film che – nonostante gli abusi che isteriliscono l’espressione – è quanto mai corretto definire “d’autore”. Per molteplici aspetti. La robusta personalità, innanzitutto, uno sguardo e una temporalità unici e precisi. Pedicini, d’altronde, riprende e porta all’esasperazione i nodi tematici di una poetica già ben delineata, incentrata su personaggi e situazioni al limite, sulla soglia (muro invalicabile eppur fragile come cristallo) tra un tempo in cui tutto era possibile (l’infanzia) e un altro in cui nulla sembra più (ancora) raggiungibile (l’età adulta). Dimensioni che, in questo film, s’intersecano e si alternano in una vertigine dell’animo e della memoria. Memoria personale e ai margini (quella dei due alieni Anna e Hans) e collettiva insieme (i connazionali “normali” colpevolmente omertosi). Pedicini ribalta la scena di un crimine insanabile, vicinissimo a noi eppure ignorato, e getta i propri personaggi dentro un girone infernale governato dal contrappasso.

Ma il capovolgimento, a ben guardare, è solo di facciata, e la posta in gioco per Anna è la medesima di quando era bambina: superare il trauma e guardare oltre, fuori dall’istituto-ventre materno. Il cui nutrimento, se protratto oltre il tempo necessario, risulta mortifero. La strada è (sin dall’infanzia) tracciata, l’amica del cuore non è affatto morta e anzi la illumina per Anna. Alla quale, dopo tanto represso e silenzioso dolore, basta adesso, davvero, aprire le finestre al calore di un nuovo sole.

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.