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Il jazz tra passato e futuro. Una musica di protesta, rabbia, libertà. Di Julie Hegel

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Jazz tra passato e futuro

Il jazz tra passato e futuro. Una musica di protesta, rabbia, libertà. Di Julie Hegel

La prima volta che ho ascoltato un concerto jazz, il mio orecchio educato al classico ha avvertito come un rumore, una sovrabbondanza di note che sporcava il suono. Insomma un abisso di differenze se si fa un confronto con quella musica fatta di uniformità di strumenti che creano melodie senza tempo.
Ma io sono curiosa. Volevo comprendere le origini e il perché il jazz ha influenzato e attraversato almeno un secolo tra critiche, grandi passioni e anche grandi paure. La Germania nazista addirittura ne avversò fortemente la divulgazione ritenendolo appartenente ad una cultura inferiore e avvertendolo come una sfida contro il regime. Direi, dunque, paura di una una musica che prepotentemente inneggia alla libertà . Comprendere il jazz non è facile. Bisogna ascoltare più e più volte, essere dotati di quella capacita di concentrazione che permette di separare i suoni dei singoli strumenti e cogliere quel messaggio emotivo che ogni musicista vuole trasmettere: tutto questo è l’ improvvisazione che da al jazz fascino e un pizzico di mistero.
L’improvvisazione è purezza, è la differenza tra una bugia ed una verità. Tutto quello che nasce spontaneo è verita ,tutto quello che è costruito nasconde sempre qualche un po’di finzione.
Il jazzista non ha tempo di fingere, tutto nasce dall’anima che crea quel ritmo che è come una pulsazione, un battito del cuore che vive. Parla senza parole ma le note raccontano con chiarezza una storia che può incuriosire, far maturare una riflessione o prendere una decisione improvvisa. Questa è musica che arricchisce lo spirito e fa volare in un mondo dove non esistono piu nè frontiere nè razze , ammesso che le razze esistano perché come disse Einstein apparteniamo tutti alla razza umana e questo certo il Jazz ce lo ricorda.
Intercettare il messaggio, oltrepassare la sfera della coscienza e cogliere direttamente l’emozione. Si, perché il jazz non è solo musica fatta di note ma soprattutto una filosofia di vita e, al di la degli streotipi che i vari critici hanno assegnato a questo genere, in questa terra jazz ognuno ha il diritto alla sua indipendenza, sinonimo di libertà indiscussa.
Geoff Dyer scriveva della “libera repubblica del jazz” , dove niente è più libero, fuori dagli schemi e dall’ ingessatura di rigide regole come questa musica, piena di ritmo e fantasia che sa parlare di vita, di morte e anche di dolore ma sempre con leggerezza, che fa piangere per l’emozione ma fa anche sorridere e ondeggiare il corpo seguendo quei ritmi dolci ma spesso incalzanti, forti. Si resta lì soggiogati quasi ipnotizzati anche dall’ ultima nota che poi vola via.
Tutto questo gli amanti di questo genere musicale, sfortunatamente un po’ di ” nicchia” , lo sanno già.
Ma è proprio qui che volevo arrivare, nulla di piu sbagliato che considerare il jazz come musica d’elite. Se ricordiamo le sue origini ci rendiamo conto che è davvero musica di tutti anzi, direi patrimonio di tutti che andrebbe valorizzato e pubblicizzato, raccontato e spiegato alle nuove generazioni affinchè quel messaggio che parla di ribellione all’ingiustizia , al pregiudizio e al razzismo non vada perso. Bisogna assolutamente attivarsi affinche il jazz non muoia.
Scriveva Sartre: …” il jazz è una miriade di piccole scosse. Non hanno sosta, un ordine inflessibile le fa nascere e le distrugge, senza mai lasciare loro l’agio di riprendersi, di esistere per se stesse. Corrono , s’inseguono, passando colpiscono con urto secco e s’annullano… Devo accettare la loro morte, devo perfino volerla, conosco poche impressioni più aspre e più forti”.