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Venezia 2018: in concorso “The Mountain” – L’anormalità della normalità. Di Barbara Cianca.

The Mountain a Venezia 75

Mostra del Cinema di Venezia 2018: in concorso “The Mountain” – L’anormalità della normalità. Di Barbara Cianca.

Il regista Rick Alverson presenta a Venezia il suo quinto lungometraggio: “The Mountain”. Film drammatico, ambientato negli Stati Uniti dei primi anni cinquanta ed ispirato al medico e neurologo Walter Freeman famoso per aver utilizzato la pratica della lobotomia nella cura delle malattie mentali. Personaggi principali due uomini dalle opposte personalità: il medico Wallace Fiennes, interpretato da un Jeff Goldblum, loquace, donnaiolo e gran bevitore, ed Andy (Tye Sheridan), ragazzo silente e dallo sguardo perennemente spento. Le loro vite si incrociano quando, a seguito della morte del padre di Andy, quest’ultimo riceve l’inaspettata visita del dottor Fiennes che confida al ragazzo di essere stato uno dei medici della madre. Il ragazzo, ormai solo al mondo, deve decidere cosa fare della propria vita ed il medico gli propone di seguirlo nella sua attività in qualità di fotografo dei pazienti da lui trattati. Andy accetta. Inizierà così per lui una doppia peregrinazione: una fisica, nelle varie cliniche, ed una interiore che lo porterà, partendo da una situazione iniziale nella quale sembra quasi non essere toccato dalle realtà con le quali entra in contatto, ad una reazione di forte e netto rifiuto delle stesse nel momento in cui ne prende piena coscienza. Reazione che, purtroppo, pagherà a caro prezzo. Lo svolgersi della narrazione risulta fin dall’inizio abbastanza lento; e quando sembra definitivamente incanalato nei binari dell’immobilità, viene introdotto un terzo personaggio, Denis Lavant, il cui ruolo stride rispetto a quello degli altri quanto ad energia vitale profusa e logorroicità, tanto da risultare quasi fuori luogo, se non addirittura irritante ( posto che la sua interpretazione sia magnifica ). Il film tratta un tema estremamente delicato e complesso, che scuote le coscienze, che fa riflettere sull’arbitrarietà delle decisioni che talvolta alcuni uomini hanno preso a danno della vita di altri. E lo fa attraverso l’avvicendarsi di pochi fatti. Questa assenza di accadimenti in un primo momento rende perplessi, lasciando addosso un senso di vuoto, di incompiuto, quasi di vertigine; poi lentamente sedimenta, e si insinua il dubbio che questo senso di vuoto che si prova altro non sia se non lo stesso vuoto a cui furono condannate le vite delle persone che subirono questa feroce pratica e che il regista non voglia altro che farlo provare allo spettatore. Il confine tra normalità e non si assottiglia e scompare. Non semplice.