Cristiano De Andrè: ho capito di avere la “luccicanza” che aveva mio padre, un’inspiegabile fortuna, una memoria del sangue, capace di emozionare e di emozionarmi.
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Piazza San Giovanni è gremita di giovani, la pioggia battente sembra rigenerare il pubblico che aspetta festante i suoi beniamini. Dietro le quinte del grande palco alcuni artisti si fermano per lasciare una battuta ai giornalisti. E’ sera, cominciano ad avvicendarsi sul palco del 1° maggio i ’big’. Manca ancora qualche ora di musica, quando vediamo arrivare nel backstage Cristiano De Andrè, al braccio di Alba Parietti, quasi come se fosse lì per caso, coperto da un piccolo ombrello, incurante della curiosità che desta la sua presenza.
Visibilmente emozionato, Cristiano si lascia avvicinare e risponde alle domande con grande semplicità, e con la sincerità di chi porta su di se il peso dell’inevitabile confronto, essere un figlio d’arte può non essere un vantaggio e lui lo racconta senza vittimismo. Ammettendo spontaneamente la difficoltà di tornare sul palco dopo due anni di assenza e molti più anni di blocco creativo: “avere un padre genio non ti da la possibilità di superare il complesso di Edipo”, dice a “Il Profumo della Dolce Vita”
Un felice ritorno, dopo due anni, con l’album “Come in cielo così in guerra”, di cui ha anticipato l’uscita per chiudere con la sua esibizione il My Festival di Patty Smith all’Auditorium di Roma, giovedì 25 aprile, dove ha suonato i brani del nuovo album e brani del papà, “senza volerlo scimmiottare” sottolinea Cristiano. Nelle sue parole c’è tutta la sofferenza dell’animo di un poeta, che emoziona e si emoziona: “una fortuna inspiegabile, una memoria del sangue“.
Un felice ritorno, che emozione è per te?
L’emozione di tornare sui palchi dopo due anni di stop e soprattutto con un mio album, erano 12 anni che non scrivevo qualcosa di mio. Mi ha dato la possibilità di eliminare i fantasmi, la paura di non essere all’atezza di mio padre. Perché avere un padre genio non ti dà la possibilità di superare il complesso di Edipo. Devi trovare una grande forza dentro di te. A cinquanta anni faccio un bilancio e finalmente sono sereno.
Che cos’è che ti ha dato la serenità?
Saper riconoscere la bellezza, che non è quella che ci stanno insegnando. Una Barbie a grandezza naturale sarebbe un mostro. La bellezza è quella fatta di mille piccole imperfezioni, di un naso storto ma di occhi che hanno coltivato l’anima, che con uno sguardo possono far innamorare una donna. Per le donne la bellezza è data dal fascino, penso a Monica Vitti, Claudia Cardinale…
Poi la bellezza è quella che ci circonda fatta di piccoli momenti, di amore che deve ritornare, che è intelligenza liquida.
A cosa ti sei ispirato per scrivere “Come in cielo, così in guerra”?
Mi sono ispirato a quello che abbiamo dimenticato nella discarica del tempo passato, che era nella rivoluzione culturale degli anni ‘60-’70, in cui l’unica cosa da salvare era proprio l’anima. Dobbiamo correre a riprendercela, se la troviamo ancora.
Come è stato il ritorno al concerto dell’Auditorium di Santa Cecilia?
Una grande gioia vedere che il pubblico ha risposto bene, siamo già al 10 posto in classifica, non me lo aspettavo.
Quanto è importante il rapporto con il pubblico?
Il rapporto con il pubblico è una cosa fondamentale. Quello di cui sono sicuro, da qualche tempo, è di avere una ‘luccicanza’ che non è quella di Shining, che ha anche mia figlia e che aveva anche mio padre. E’ un’inspiegabile fortuna che ti da la capacità di emozionarti e di emozionare gli altri, una memoria del sangue. Credo di riuscire ad emozionare ed è per questo che il pubblico è arrivato numeroso.
Per tua figlia ti augureresti che continuasse anche lei nella musica?
Per mia figlia mi augurerei che dimostrasse di avere più coraggio di quello che ha.
Lasciamo Cristiano agli autografi e alle foto, in attesa di sentirlo cantare e suonare dal palco.
Rossella Smiraglia
Di seguito il video dell’intervista a Cristiano De Andrè nel backstage del concerto del Primo Maggio
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