Esce oggi MIO FIGLIO, un avvincente thriller estremo girato in soli sei giorni sulle montagne francesi
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Distribuito da No.Mad Entertainment, esce oggi nelle nostre sale “Mio figlio”, il quinto film di Christian Carion, l’acclamato regista francese di “Joyeux Noël” e “L’affaire Farewell”.
Guillaume Canet, il protagonista assoluto, rappresenta l’elemento di continuità con la filmografia di Carion. Che, per il resto, ha sovvertito quanto prodotto sin qui creando un film unico, un autentico esperimento girato a tempo di record. E vissuto dal protagonista in prima persona, sulla propria pelle e dentro le emozioni più intime.
Durante le riprese, infatti, al contrario della troupe e del resto del cast, Canet non conosceva il copione. In ogni scena, quindi, si trovava ad agire d’istinto: «Ero ossessionato da un aspetto – si legge nell’intervista riportata nel pressbook –: non sapevo che cosa mi sarebbe successo! Così ero sempre all’erta, calandomi nella mente di un padre a cui capiterà qualcosa di terribile. Penso che la preparazione sia avvenuta a livello subconscio, psicologico. […] Lasciai casa ed ero il personaggio. […] Fu straordinario, proprio come un gioco di ruolo». E fu per tutti sorprendente capire come le reazioni “alla cieca” di Canet fossero ogni volta quelle più giuste, spesso diametralmente opposte a quelle previste in sceneggiatura. D’altronde, ciò accadeva perché quelle stesse reazioni erano profondamente fondate: prima dell’inizio delle riprese, il regista aveva fornito a Canet un dettagliato racconto preparatorio, un’indagine puntuale ed esaustiva del passato di Julien Perrin, delle sue relazioni e della sua professione, ossia tutto ciò che la vita del personaggio assegnatogli era stata… sino all’inizio del film.
Che racconta come quella vita venga sconvolta da una terribile notizia: il figlioletto è stato rapito. Tale dramma viene immediatamente ingigantito dai sensi di colpa che, al momento della notizia, già tormentavano Julien, padre consapevole di avere preferito il lavoro alla propria compagna Marie Blanchard (interpretata da un’intensa Mélanie Laurent) e, appunto, al loro unico figlio, il piccolo Mathys (Lino Papa). Julien torna quindi sui luoghi di un “precedente delitto”, la casa abbandonata e prima condivisa con Marie. Adesso nella vita di lei c’è un altro uomo, Grégoire Rochas (Olivier de Benoist). L’ambiguo atteggiamento di quest’ultimo porta in un primo momento Julien ad immaginarne il coinvolgimento, o comunque una forma di favoreggiamento nella sparizione del figlio. L’analisi di inattesi dettagli gli farà però spostare l’attenzione in un’altra direzione. “Mio figlio” racconta precisamente l’odissea di un uomo solo, costretto a gestire nella maniera meno distruttiva possibile i propri sospetti e le montanti paranoie, all’interno di una caccia all’uomo senza quartiere.
E senza direzioni chiare: tanto per Julien quanto per l’attore che lo impersona, ogni scena apre nuove prospettive e corregge le vecchie, chiamando ad un’attenzione massima coloro che circondano quell’uomo accecato dall’ansia di ritrovare il figlio e, parimenti, il proprio ruolo genitoriale. Sul set, la fusione tra attore e personaggio si era fatta così pervasiva da cambiare non soltanto il contenuto delle battute degli altri attori ma il corso del film nel suo complesso. Il risultato è che lo spettatore di “Mio figlio” è pienamente partecipe assieme a Julien-Canet della fatica di una progressiva scoperta, della costante inquietudine di non sapere mai che svolte possano prendere interlocutori ed eventi, che cosa ci sia dietro quella porta, che fine abbia fatto la piccola creatura oriente di tutti i nostri sforzi…
Consigliamo i nostri lettori di non lasciarsi sfuggire questo film, si priverebbero di un’esperienza impossibile da vivere in altre proiezioni.