Barack Obama: “Da bambino non pensavo alla presidenza, volevo essere un bravo ragazzo…”
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Barack Obama: “Da bambino non pensavo alla presidenza, volevo essere un bravo ragazzo…”
Nella seconda parte dell’intervista di Fabio Fazio al Presidente Obama, molte rivelazioni personali dell’uomo più potente del mondo. Un’intervista, merito di Fazio, che ha trasmesso l’umanità di Obama, con cui l’intervistatore è atrrivato a giocare come con qualunque altro ospite….
Per chi l’avesse persa, ecco l’estratto della seconda parte dell’intervista a Barack Obama
“Quando ero un bimbo il mio sogno più grande era quello di riuscire a giocare e a nuotare, perché ho vissuto l’infanzia in luogo che è fantastico per un bambino”. Così il 44° Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ospite a Che tempo che fa di Fabio Fazio su Rai3 per un’intervista esclusiva in tv in Italia sulla sua autobiografia di grande successo “Una terra promessa”, edita in Italia da Garzanti.
Crescendo volevo fare l’architetto e poi ero interessatissimo al basket ma non ero proprio “un LeBron James” e quindi, visto che non sarei mai stato lui, è stato un sogno che è sfumato in fretta. Come ho scritto anche nei libri precedenti, non ero uno che avesse mai avuto il sogno di diventare Presidente, il mio sogno era di essere un bravo ragazzo, i miei genitori, i miei nonni me l’hanno sempre detto. Volevano che potessi dare il mio contributo alla società, volevano che avessi un lavoro, che potessi pagarmi l’affitto.
È stato solo quando ero all’Università che mi sono davvero sensibilizzato alle problematiche sociali, ho partecipato al movimento anti-apartheid, ho iniziato a leggere di più ispirato dal movimento per i diritti civili, Gandhi, le personalità degli anni Sessanta. È stato questo che mi ha portato ad abbracciare la vita pubblica ed è stato solo molto più tardi che mi sono davvero reso conto e ho pensato “Forse sono davvero abbastanza bravo per riuscire a prendere la parola a nome di gruppi più nutriti della società”.
Anche il Presidente degli Stati Uniti non può controllare tutto.
La verità è che il lavoro da Presidente ti fa sentire potente, ma ci sono una serie di eventi, in tutto il mondo, che non puoi controllare anche se sei coscienzioso, anche se sei davvero efficente. Ci saranno comunque cose nel corso del mandato presidenziale che accadono e che ti spezzano il cuore. Uno degli esempi è ciò che è accaduto in Siria. La primavera araba ha avuto questa grande promessa e possibilità di democratizzazione in questa Regione. Però in luoghi come la Siria questa promessa è diventata una guerra civile, ciò ha dato adito al coinvolgimento di russi, iraniani, eccetera. Io ho dovuto prendere una serie di decisioni per riuscire a far sì di migliorare la situazione senza ri-invadere un altro Paese del Medioriente che pensavo fosse una cosa irresponsabile e controproducente. Avete visto le cose terribili che sono accadute, i flussi migratori che si sono verificati dopo. Questo è un esempio di come ti tocca profondamente una cosa quando accade e tu continui a chiedere se ci sia davvero qualcosa che tu possa fare. Ci sono dei momenti in cui hai la sensazione di essere svuotato, di non avere più risposte. D’altro canto ci sono stati dei momenti, che non descrivo in questo libro ma che descriverò nel secondo volume, come la crisi dell’Ebola nell’Africa occidentale, in cui sapevo di poter fare qualcosa. Abbiamo mobilitato la comunità internazionale, ci siamo mossi in fretta e quella che avrebbe potuto diventare una pandemia globale, una malattia estremamente mortale e terribile, è stata contenuta relativamente velocemente e abbiamo risparmiato centinaia di migliaia, se non milioni, di vite umane.
Da Presidente bisogna riconoscere che non si è in grado di fare tutto come si vorrebbe, però si può fare molto. Ho sempre detto ai miei collaboratori, quando a volte avevamo discussioni su dei problemi o mi dicevano “Non riuscirà a fare tutto ciò che vuole, signor Presidente”, io rispondevo che comunque avremmo migliorato le cose, più sanità per tutti, avremmo creato più posti di lavoro, ci sarebbero stati meno bambini poveri. Anche se non abbiamo risolto tutto, almeno alcuni problemi li abbiamo risolti e a loro ho sempre detto “facciamolo!”, e sono sempre stato soddisfatto.
L’assalto a Capitol Hill.
Non credo che potremmo mai cancellare quel momento, anzi penso che ce lo dobbiamo stampare nella mente perché ci deve ricordare il fatto che la democrazia non è un dono che viene dal cielo. È una cosa che invece tutti noi, cittadini dei nostri rispettivi Paesi, dobbiamo continuamente rinnovare, dobbiamo sempre investire nella democrazia.
Credo che lo stesso tipo di impulsi di estrema destra, di suprematisti, del razzismo che si è avuto a Capitol Hill qualche settimana fa, questo lo possiamo vedere praticamente in ogni Paese europeo. Di fatto c’è un conflitto in tutto il mondo, c’è una specie di gara tra coloro che credono nella democrazia, nell’inclusione, nelle possibilità economiche da dare a tutti, e coloro che credono invece nel tribalismo, nel conflitto, semplicemente perché c’è sempre un “noi” e un “voi”, gli altri sono il nemico e poi ci vuole sempre quello “forte” che ci deve aiutare a sconfiggere il nemico. Ebbene, quella tensione è ancora presente, anche se Joe Biden è stato eletto Presidente. Lo vediamo in Ungheria, in Turchia, nelle Filippine. Credo che tutti noi che crediamo in ciò che penso sia una storia migliore di progresso umano, che sia una storia di uguaglianza e di inclusività, che riconosce la dignità di tutti, dobbiamo darci da fare di più e combattere per i nostri principi. Spesso citavo Martin Luther King che dice “L’arco dell’Universo è molto lungo ma va verso la giustizia” e io ricordo sempre che questo arco si piega perché c’è la nostra mano che lo fa muovere nella direzione della giustizia, altrimenti si va nella direzione contraria.
Le 3 cose o i 3 momenti a cui tiene di più nella vita.
Se devo parlare di cose, mi piacciono i libri, non semplicemente leggerli perché imparo quando leggo, ma proprio l’oggetto-libro. Uno dei grandi tesori della mia vita è che ho ricevuto libri siglati da molti autori: Toni Morrison, Nelson Mandela, Gabriel García Márquez, il grandissimo scrittore latino-americano che mi ha donato una copia originale di “Cent’anni di solitudine”, uno dei suoi grandi capolavori, e nella sua dedica ha scritto “Cento anni”, ha cancellato solitudine e ha messo “amicizia” e poi ha firmato con il suo nome. Ecco queste sono cose che per me sono dei grandi tesori e li tengo come carissime.
Poi ho una collezione meravigliosa di palloni da basket; ormai non gioco più come una volta, ma la sensazione del palleggiare o giocare anche da solo mi piace tantissimo perché mi riporta a dei ricordi meravigliosi della mia gioventù, che sono molto importanti. Il basket è il collegamento delle varie fasi della mia vita.
I momenti della mia vita a cui tengo di più sono naturalmente quelli con le mie figlie. Adesso, a causa del Covid, sono rinchiuse in casa con noi e se ne vorrebbero andare, però per me avere la mia ventiduenne, la mia diciannovenne, a cena tutte le sere, ascoltarle per vedere che sono più brillanti, più intelligenti, più interessanti di me, per me è una soddisfazione.
Gioco della Torre: libri o palloni da basket?
Libri, perché purtroppo non posso più giocare a basket e a ottant’anni sarò ancora in grado di leggere libri, giocare a basket invece magari no. Non so se riuscirà a fare canestro a ottant’anni.
La copia autografata di Gabriel García Márquez o una cena con le sue figlie?
Assolutamente la cena con le mie figlie