Tutti per Uma, una famiglia influenzata da una “ fatina “
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E’ la storia, narrata dal nipote più piccolo di una famiglia alla quale manca la presenza di una donna, per bambini e per qualcuno tra i più cresciuti, in termini che definire fantastici appare abbastanza approssimativo perché non è una storia, è un insieme di singole gags delle quali protagonisti sono i componenti della famiglia Ferliga, un gruppo variamente assortito che comprende due bambini ( i figli di Ezio, che si presenta come apicoltore ), lo zio Dante ( scapolo con velleità di video maker ) e, soprattutto, un nonno dal nome di Attila che tiene fede al suo nome solo in termini di distruttore di economia familiare intesa come grande realizzatore di debiti; c’é anche un cane, Mimmo, del quale non si comprende bene la parte.
Inoltre c’é una principessa idealista che si propone di aiutare la compagine di soli uomini a superare tanto la crisi della mancanza di una donna ( si vuole proporre ? ) quanto la sua voglia di scegliersi il consorte che la sua natura di principessa le impedisce invece di scegliere.
Tutti vivono all’interno di una tenuta agricola che produce vini in una zona dei Castelli romani e che potrebbe anche essere fiorente se il “ capofamiglia “, Attila appunto, non fosse così bravo a mandarla in rovina favorendo così le intenzioni del banchiere Victor che tende ad impossessarsi della amena e potenzialmente redditizia proprietà,
Senza entrare in dettagli che potrebbero falsare la narrazione, un tantino patetica, di una storia al limite del fiabesco e che fiabesco non è come vorrebbe, rileviamo che la trama del film appare si consistente ma praticamente poco significativa attesa la mancanza di credibilità che gli interpreti, pur potenzialmente in grado di esprimersi in ben altro modo non riescono a concretizzare: tra di essi figurano un bravo Pietro Sermonti nei panni di Ezio, un modesto Lillo Petrolo ( Dante ) che non sa esprimersi in termini diversi dal solito, un pur impegnato Antonio Catania nella parte del nonno Attila economicamente incapace e Dino Abbrescia ( il banchiere Victor ) che ci è apparso l’unico in grado di interpretare una parte, sia pure di quella del cattivo, in grado di infondere un minimo di sapore alla “ favola “ all’interno della quale, ad un certo punto improbabilmente appare una specie di fatina che si presenta come una principessa austriaca fuggita dall’Impero asburgico per non sposare il suo principe azzurro.
Altri personaggi, a latere, corredano la “ favola “ e tra di essi rileviamo una assurda contessa interpretata da Elisa Lepore, pazzamente innamorata del nonno Attila che, però, non sembrano bastare a condire una narrazione coerente o almeno, in grado di infondere quel carattere di “ surrealità “ che l’impianto del film avrebbe preteso per rendersi veramente espressivo.
Unico motivo di fondo rilevato: l’attuale crisi del maschio raccontata in termini di numerosi insuccessi nel gestire e tentare di raddrizzare un’azienda da parte dei componenti, tutti maschili, cane compreso, dello scombinato, ma in ogni caso simpatico, nucleo familiare.