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“The Return”, una “micro-odissea” di solitudine: il quarto film di Uberto Pasolini alla Festa del Cinema di Roma

“The Return”, una “micro-odissea” di solitudine: il quarto film di Uberto Pasolini alla Festa del Cinema di Roma

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Odisseo (un monumentale Ralph Phiennes), invecchiato, indebolito e soprattutto solo, fa ritorno ad Itaca. Sono le onde a portarlo nudo sulla riva, ed è il porcaro Eumeo (un efficace e allucinato Claudio Santamaria) l’unico a riconoscerlo. Almeno per gran parte del racconto. La fedele Penelope (una eterea e intensa Julioette Binoche), assistita dall’anziana e spigolosa nutrice Euriclea (una pungente Ángela Molina), sèguita a tessere, disfare, tessere… la propria rossa tela votiva. Attorno a lei, il gruppo misto dei Proci pretendenti al trono e capeggiati da Antinoo (un profondo e sfaccettato Marwan Kenzari). Lassù al palazzo reale le dispute infuriano e Telemaco, il figlio di Odisseo e Penelope, non riesce a gestirle, anzi, si allontana pure in barca, impegnato per un breve temp in una missione parallela e deviante. Piano piano, Odisseo sale la china della montagna e dei suoi cosmici sensi di colpa (non solo verso i compagni perduti nel mare), curato dal porcaro e impegnato vicino alla sua baracca nelle prime uccisioni. Che deflagreranno una volta dentro il palazzo. La nutrice sarà la seconda a riconoscere quel taciturno e lacero vagabondo: le cicatrici sul corpo, per quanto al tramonto della vita, non possono mentire a chi, quel corpo, lo ha visto nascere e crescere. La moglie non sembra riconoscerlo “direttamente”, non lo “nomina” ovviamente, lo presente, forse da sempre, e dunque lo accoglie e nel contempo lo respinge, mentre i Proci uno ad uno vengono trafitti da quell’infallibile arco che solo Odisseo può armare e utilizzare. È tempo del ricongiungimento e del perdono.

Ralph Phiennes alla Festa del Cinema (Foto di Massimo Nardin)

«Bene, ti renderò irriconoscibile agli occhi di tutti i mortali: ti farò aggrinzire la pelle sulle membra flessuose, ti farò scomparire dalla testa i biondi capelli, ti vestirò di un cencio che muova al disprezzo chiunque lo veda indossato, appannerò i tuoi occhi finora bellissimi, sì che tu appaia ignobile a tutti i pretendenti e a tua moglie e al figlio che in casa lasciavi» (“Odissea”, XIII, a cura di Franco Ferrari, UTET, Torino 2005):

Juliette Binoche e Ralph Phiennes sul red carpet della Festa del Cinema (Foto di Massimo Nardin)

parte da qui Uberto Pasolini nel suo quarto film – presentato nella sezione “Grand Public” in coproduzione con Alice nella città alla XIX Festa del Cinema di Roma –, per disegnare l’ennesimo ritratto di una assoluta solitudine. Dopo “Still Life”, inarrivabile vetta della sua cinematografia, e “Nowhere Special”, la solitudine qui si moltiplica contagiosa. Complice la durezza statuaria di caratteri ereditati dal mito, ogni personaggio di “The Return” appare solo, isolato dal resto anche se prossimo, in lotta con se stesso prima che con gli altri. Così i Proci – quasi stregati, nella loro ottusa perseveranza, da un’invisibile Maga Circe –, così Antinoo – sorta di versione terrena e intimista di Odisseo, nel suo essere, assieme a Euriclea, “voce”, anzi “sguardo nel deserto” – così Penelope, nel proprio smarrimento e nell’invincibile costanza, così Telemaco, confuso e imbelle (dunque efficacemente restituito da un attore qui evanescente e incerto come Charlie Plummer).

Claudio Santamaria alla Festa del Cinema (Foto di Massimo Nardin)

Così, soprattutto, Odisseo, che “guarda” tutti ma nessuno “tocca” se non con le affilate frecce. Appropriata pertanto l’ambientazione scelta da Pasolini a Corfù e nel Peloponneso – complici le dense e potenti scenografie di Giuliano Pannuti e una coproduzione di quattro nazioni tra cui l’Italia con Picomedia –, filologicamente corretta e al contempo dominata da interni e piani stretti a suggerire il carattere claustrofobico e senz’orizzonte degli spazi narrativi. Che approdano alla carneficina finale, momento scevro da spettacolarità in quanto atto “dovuto e previsto” come quel “telecomando divino” che ha condizionato tutta la vita di Odisseo e che grava sulle sue spalle.

Ralph Phiennes all’ingresso della sala dell’Auditorium Renzo Piano (Foto di Massimo Nardin)

Anche quando, chine, si offrono al “lavaggio” di Penelope, il personaggio forse più felice, capace di restituire tutta l’irrisolvibile complessità – sospesa tra accettazione e rifiuto – di essere moglie (e madre) abbandonata, tradita eppur tenacemente fedele. In tale sfumata compattezza, il merito e il limite di “The Return”: il ritrovato vigore finale di Odisseo, capace – come d’altronde vuole il racconto omerico – di far cadere come birilli uno dopo l’altro gli arroganti Proci a cominciare dal gigante che si rompe la testa su un gradino, per quanto scrupolosamente lontano dal minimo eccesso spettacolare, stride con il pregresso e lascia lo spettatore perplesso.

Juliette Binoche all’ingresso della sala dell’Auditorium Renzo Piano (Foto di Massimo Nardin)

Non tanto perché il regista-autore non abbia saputo restituire una rarefatta rivisitazione delle pagine conclusive del poema omerico, quanto perché da quelle stesse pagine non s’è saputo distaccare ulteriormente, sì da individuare, al di là della feconda re-interpretazione di Penelope, ulteriori e inedite linee di senso che rispecchiassero fino in fondo la sua propria poetica, magnificamente emersa in “Still Life”.

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