“L’amore che ho” nelle sale il film su Rosa Balistreri la “contastorie degli ultimi”
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Una ‘cuntastorie’ che ha dato voce ai contadini, agli zolfatari, agli emigranti, ai carcerati. Alle tante, troppe persone sfruttate e umiliate proprio come lei che, nata poverissima, grazie alla sua voce è riuscita a diventare “la cantastorie del Mezzogiorno”. Questa è stata Rosa Balistreri che ha avuto la fortuna e l’onore di lavorare con Dario Fo, Andrea Camilleri, conoscere il grande pittore Renato Guttuso e arrivare, nel 1973, fino al Festival di Sanremo dove verrà esclusa all’ultimo momento perché rappresentava più una minaccia che una risorsa per l’Italia di quegli anni.
Dopo essere stato presentato con successo al 42° Torino Film Festival, arriva al cinema L’amore che ho, il film di Paolo Licata (autore nel 2020 del pluripremiato Picciridda – Con i piedi nella sabbia) prodotto da Dea Film e Moonlight, con il contributo della Sicilia Film Commission, che ripercorre i drammi e le gioie di una leggenda della canzone popolare siciliana, un po’ caduta nel dimenticatoio.
Lucia Sardo, Donatella Finocchiaro, Anita Pomario e Martina Ziami interpretano Rosa nelle diverse fasi della sua vita, mentre Carmen Consoli, che da sempre la considera un’ispirazione e una guida, oltre ad apparire nel film nel ruolo di Alice, firma le musiche originali dell’opera. Il film, presentato alla stampa al cinema Adriano di Roma, è liberamente tratto dalla biografia dell’omonimo romanzo di Luca Torregrossa, nipote dell’artista e proietta lo spettatore in una Sicilia povera non solo economicamente ma anche nei sentimenti, dove esiste ancora “Il padrone” e le donne sono “animali”…altro che patriarcato…
In questo scenario che inizia negli anni Trenta del secolo scorso cresce Rosa che, fin da bambina, fa i lavori più umili: pulizie presso le case di famiglie benestanti, operaia nelle industrie di conservazione del pesce, venditrice di frutta e verdura. A sedici anni sposa Gioacchino Torregrossa, un matrimonio combinato e che rende Rosa ancora più infelice perché il marito si rivela essere un giocatore e ubriacone. Da lui ha una figlia, Angela, e il giorno in cui Rosa scopre che il marito aveva perso al gioco il corredo della figlia, ha una furiosa lite con lui al punto da ferirlo a morte. Fugge in una chiesa, ma anche qui viene molestata dal prete e arrestata dai carabinieri mentre la figlia viene “protetta” in collegio.
E questo è solo l’inizio. Di una vita molto complicata, difficile. In conferenza stampa Carmen Consoli ha detto: “Rosa va considerata una rivoluzionaria. La grande rivoluzione di questa donna è stata proprio la cultura. Rosa è nata dal nulla, è riuscita a imparare a scrivere e a leggere da sola, poi ha scritto le sue canzoni e si è resa conto che attraverso la cultura l’uomo ha la possibilità di evolversi, e infatti qualcuno diceva: ‘L’uomo tanto sa tanto può’. Rosa stava dalla parte dei più deboli e non si è piegata ai soprusi. Rosa non fa parte del ciclo dei vinti, perché lei ha vinto, partendo da un punto e arrivando a un altro”.
Sarà. Il film rimane un po’ confuso in un saliscendi di flashback che invece di aiutare stordiscono e rendono più pesante una storia che già di per se non è facile. Va apprezzato lo sforzo di portare sul grande schermo una narrazione così particolare e così lontana dal mondo apatico di questi nostri anni. Raccontare Rosa Balistrieri, la “cantautrice degli ultimi” è un’operazione che merita apprezzamento ma chissà se verrà capita. Forse no. Un po’ come tutta la sua vita.