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“Abbi fede” di Giorgio Pasotti con Claudio Amendola inizia a Bolzano la propria avventura internazionale

Ivan Sturchio è un prete quarantenne che gestisce la chiesetta in cima ad una montagna altoatesina e il percorso riabilitativo dell’annessa micro-comunità, composta da persone con problemi relazionali e un pesante passato alle spalle. Quella comunità è davvero minuscola: i pazienti sono soltanto due, Gustav, un cinquantenne ex sciatore austriaco, e Khalid, un giovane terrorista di origini arabe. Di tanto in tanto si unisce a loro Sara, una visitatrice autoctona dai problemi analoghi, segretamente innamorata del prete. A sconvolgere la relativa tranquillità di quell’assortito quartetto giunge però un nuovo ospite: Adamo, un irriducibile fascista sulla cinquantina. Il film incomincia proprio con il suo arrivo a bordo del treno locale, e con i suoi occhi vengono scandagliate potenzialità e contraddizioni della vita lassù. Occhi dapprima fortemente ostili (e accompagnati da testate che ricordano certe criminali pratiche del litorale romano) ma poi, a mano a mano che gli altri personaggi rivelano al nuovo arrivato la propria interiorità, occhi che si aprono e mettono in discussione le passate convinzioni. Complici di questo graduale e altalenante percorso, un solitario albero di mele quasi pronte per essere raccolte, i violenti compagni camerati di Adamo, un giovane paraplegico di nome Filippo e… la sorpresa che sconvolge la vita di Ivan.

Il produttore Gianluca Lazzaroni con l’assistente casting Paola Battaglia, l’assistente alla regia e dialogue coach Francesca Bertoni e l’attore Robert Palfrader

“Abbi fede” è il remake del celebre film danese di quindici anni fa “Le mele di Adamo” di Anders Thomas Jensen ed è stato presentato ufficialmente lo scorso 21 gennaio al Film Club di Bolzano nella sua versione tedesca, intitolata “Alles wird gut” (letteralmente “Andrà tutto bene”). Il film, infatti, è una coproduzione italo-austriaca e la prima che vede l’emittente di punta ORF impegnata in un lungometraggio italiano finanziato da Rai Cinema e destinato alla sala cinematografica. Sostenute da MiBACT e IDM, la film commission dell’Alto Adige, sono quattro le case di produzione coinvolte: l’altoatesina Greif Produktion di Gianluca Lazzaroni e Jean Gontier, la viennese Sigma Filmproduktion di Heinz Stussak e le romane Cannizzo Produzioni di Gianluca Cannizzo e CineWorld di Rosalba De Angelis e Savino Cirulli.

Il ricevimento di “Alles wird gut” al Film Club di Bolzano

“Abbi fede” è una piacevolissima sorpresa e dimostra il raggiungimento di una piena maturità registica da parte di Giorgio Pasotti, dopo l’apprezzato esordio a basso budget “Io, Arlecchino” con Roberto Herlitzka. Se in entrambi i film Pasotti ha ritagliato per sé un ruolo da protagonista, in “Abbi fede” stupisce per il controllo della narrazione (è co-autore della sceneggiatura, desunta da quella originale di Jensen, assieme a Federico Baccomo) e delle varie componenti filmiche, a cominciare dalla fotografia.
Omogeneamente virata sui toni caldi dell’autunno, capace di esaltare i mille colori della stagione e dei luoghi immersi nel verde, la fotografia di “Abbi fede” sorprende con la coerenza delle scelte stilistiche: la macchina da presa rimane ben piantata a terra, ancorata ai volti e agli spazi del racconto, restituisce immagini sempre chiare e focalizzate sul centro dell’azione e regala altresì qualche veduta dall’alto, che chiude efficacemente alcune scene e fa da prezioso contrappunto nel dipanarsi della trama. In poche occasioni la cinepresa è a spalla; una di queste è il momento della rivelazione cardine del film: per rendere al meglio lo smarrimento degli astanti, il regista ha scelto di inquadrare tutti con la macchina da presa a spalla, una strategia che, al contempo, s’integra perfettamente nel tessuto filmico complessivo e se ne distingue quel tanto che basta per accrescere la tensione. Sono d’altronde tanti, continui, i cambi di registro: “Abbi fede” transita senza soluzione di continuità dal comico al drammatico, dal thriller al ritratto sociale che guarda all’attualità, alimentando un profondo crescendo emozionale.

Battaglia, Palfrader e Bertoni

È questa caratteristica, unita alla densa e insieme snella narrazione, a fare di “Abbi fede” un film unico nel suo genere. Unico per il semplice fatto che, ad un genere definito, non è ascrivibile. A irrobustire questa peculiarità, la bravura degli interpreti. Un maestoso Claudio Amendola, innanzitutto, capace di ribaltare senza il minimo timore ogni aspetto del personaggio che abbiamo sin qui amato, rasandosi a zero (con tanto di tatuaggio sulla nuca), ostentando un fisico rigido e appesantito e diventando così un perfetto neofascista (proprio lui, che si dichiara “comunista da sempre”). Degno testimone della sua conversione (inizialmente) impossibile, Pasotti, che dà vita a un personaggio mite e tenace, capace di soffrire in silenzio e – un po’ come i grandi comici del passato a cominciare da Charlie Chaplin – di affrontare ogni avversità con il sorriso e un’incrollabile fiducia. Pure nell’impossibile. Una fiducia che, a cascata, contagia e trasforma tutti i personaggi: non solo Adamo, ma anche l’ex sciatore e la visitatrice (una bravissima Gerti Drassl).
I ritratti minori sono il valore aggiunto del film, che disegna personaggi tutti tridimensionali e con un arco evolutivo completo. Anche qui, buona parte del merito nel restituire sfumature e coerenza va riconosciuto agli attori: Robert Palfrader (Gustav), paradossalmente, pur confinato in una delle sotto-trame, giganteggia, trasmettendo allo spettatore una gamma infinita di emozioni anche soltanto con un cambio di sguardo o di espressione. Degno compagno Aram Kian (Khalid), la cui irresistibile comicità è frutto di un’interpretazione intensa e pungente come i suoi occhi e la sua pistola.
“Abbi fede”, girato interamente in Alto Adige ma concepito come film destinato a valicare non solo le Alpi ma gli stessi confini europei, in versione tedesca è uscito in Austria in quasi cinquanta sale e nella natia provincia autonoma in poco più di una dozzina; il 22 marzo al Bif&st Bari International Film Festival verrà presentata in anteprima la sua edizione italiana, dopodiché comincerà la diffusione nelle nostre sale. Con buona pace degli immancabili blockbuster primaverili, “ho fiducia” che questo piccolo grande film, se adeguatamente promosso, conquisterà il pubblico italiano e internazionale.

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.