Home Cinema Festival / Eventi Alla 73. Berlinale presentato “Disco Boy”, l’unico film italiano in gara

Alla 73. Berlinale presentato “Disco Boy”, l’unico film italiano in gara

“Disco Boy”: il cast tecnico-artistico e i produttori sul palco del Berlinale Palast (fotografia di Massimo Nardin)

È l’opera prima di Giacomo Abbruzzese a rappresentare l’Italia nel concorso ufficiale di questa Berlinale, entrata ora pienamente nel vivo (16-26 febbraio). Il talentuoso regista tarantino, che a giugno compirà quarant’anni, viene da una premiata carriera di cortista e documentarista. “Disco Boy” è il suo primo lungometraggio di finzione ed è il frutto di una preparazione lunga e faticosa, durata ben dieci anni, come ha dichiarato lui stesso sia in conferenza stampa sia sul palco, al termine del film, attorniato dagli interpreti e dai capireparto. Ieri sera infatti, nell’enorme sala gremita del Berlinale Palast (che bello vivere ancora le sale piene!), erano presenti tutti coloro che avevano partecipato alla realizzazione di questo ambizioso progetto. Il quale coniuga, da un lato, l’autorialità ad una denuncia sociale d’ampio spettro (l’immigrazione clandestina, la sfruttamento delle risorse), dall’altro diverse realtà produttive europee (ad affiancare due case di produzione francesi, una belga e una polacca, c’è la romana Dugong Films di Marco Alessi e Giulia Achilli).

“Disco Boy”: Giacomo Abbruzzese saluta il pubblico (fotografia di Massimo Nardin)


La storia narrata dal film, d’altronde, poggia su dimensioni in apparenza agli antipodi: un gruppo sovversivo del Delta del Niger, formato dai difensori di una terra devastata dallo sfruttamento capitalistico occidentale; e un altro gruppo, stavolta istituzionalizzato sebbene ammantato di mistero e leggenda: quello della Legione straniera francese, coacervo di immigrati disperati e radicalmente determinati al raggiungimento – dopo un rischioso lustro di addestramento e missioni – di un nuovo nome e una nuova cittadinanza.
Il sequestro di alcuni ostaggi francesi offrirà ai due gruppi l’occasione di venire a contatto e scontro. Protagonisti di quest’ultimo – e, a monte, di un (ideale) dialogo a distanza che comincia col film – sono Jomo, il capo dei combattenti nigeriani, e Aleksei, un bielorusso penetrato illegalmente in Francia sfruttando un permesso di tre giorni in Polonia con un pullman di tifosi. Il primo ha una sorella, Udoka – contraddistinta dalla medesima, meravigliosa e inquietante eterocromia oculare –, con la quale, tra un’azione militare e l’altra, inscena magnetiche danze sciamaniche cui partecipano gli altri ribelli. Aleksei, invece, non ha un fratello (è uno dei tanti orfani bielorussi), ma un amico fraterno, Mikhail. Quel che accade a costui durante il guado di un fiume francese cambia per sempre la vita di Aleksei. Che, arrivato finalmente a Parigi, vaga sfiancato senza meta e, su un mezzo di trasporto, cede inevitabilmente al sonno arretrato. Portato quindi in centrale, si vede offerta una possibilità di riscatto, l’arruolamento appunto. Nella cui preparazione lui si dimostra tra i migliori, tanto da essere scelto e divenire uno dei pochi legionari della sua tornata. Preparazione e dedizione alla causa, tuttavia, verranno messi in discussione dalla missione in terra nigeriana e dalle sue conseguenze, ovvero l’incontro prima con Jomo, poi, di nuovo a Parigi, con Udoka.
Le videocamere termiche che filmano il duello nel (l’altro) fiume sembrano sottolineare una “fusione” tra i due combattenti, una sovrapposizione (d’intenti, privazioni e destini) che si protrarrà nell’”altrove” francese, nella (ri)apparizione di Udoka e fin dentro il corpo di Aleksei, sconvolgendo le sue finalità e la sua stessa identità.

“Disco Boy”: i ritratti di Franz Rogowski, Laetitia Ky, Morr N’Diaye e Giacomo Abbruzzese autografati dagli stessi all’interno del Berlinale Palast (fotografia di Massimo Nardin)


Supportato da un interprete perfetto come il tedesco Franz Rogowski (ammirato già in “Happy End” di Michael Haneke, “Undine” di Christian Petzold e “Freaks Out” di Gabriele Mainetti) e da due comprimari eccellenti come Morr N’Diaye e l’artista femminista Laetitia Ky (scultrice dei propri capelli), presenze di sinuosa corporeità e potente spiritualità, Abbruzzese è riuscito nella sfida di virare secondo la propria sensibilità registica una vicenda di impianto fondamentalmente classico – lo scontro tra due rivali, separati/uniti da un fiume più metaforico che reale, come ad esempio in “Apocalypse Now”. E vi è riuscito tanto sul piano figurativo – le immagini, sempre pulite, che transitano senza soluzione di continuità dal reale, all’onirico allo “stravolto” (le riprese termiche); quanto su quello sonoro – il commento musicale di Vitalic, che si insinua tra le pieghe dei suoni d’ambiente, accrescendo l’espressione del sentimento che percorre immagini e trama.

“Disco Boy”: Laetitia Ky saluta il pubblico (fotografia di Massimo Nardin)


Non solo in quanto italiani, ma come amanti di un cinema “d’autore” nella sua accezione più genuina, manifestazione cioè di un talento consapevole, coraggioso e coerente, ci auguriamo che la Berlinale, dopo l’accoglienza entusiastica di ieri sera, riservi a “Disco Boy” un’altra soddisfazione.

“Disco Boy”: il cast saluta il pubblico (fotografia di Massimo Nardin)
Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.