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Da domani solo su Amazon Prime Video “Il migliore dei mondi”, il nuovo film di Maccio Capatonda

La locandina del film © Amazon Prime
Maccio Capatonda e Pietro Sermonti – Foto di Katia Zavaglia © Amazon Prime

Arrivato alla soglia dei cinquant’anni, l’informatico Ennio Strano (Maccio Capatonda), comproprietario assieme al fratello (Pietro Sermonti) di un negozio hi-tech, vive imbottigliato dentro una pervasiva e rassicurante routine tecnologica. Non solo il tempo lavorativo e quello libero, ma ogni sua minima azione, abitudine, incontro, approccio erotico, viaggio in auto, parcheggio… sono scanditi e filtrati da una dipendenza totalizzante dalla rete e dai suoi apparati, nel comodo regime “economy” di un’esistenza “al 40%”.

Maccio Capatonda e Martina Viola – Foto di Katia Zavaglia © Amazon Prime


Come per la maggioranza di noi oggi, la nebulosa tecnologica di Ennio ruota attorno all’inseparabile smartphone. Che lui, durante la sortita serale in discoteca ad inizio film, perde per qualche minuto. Lo aiuta a ritrovarlo una ragazza sconosciuta, una che lui non aveva mai notato semplicemente perché non presente sulle piattaforme di incontri virtuali da lui compulsivamente frequentate. È Viola (Martina Gatti), che persegue uno stile di vita contro corrente, opposto a quello di Ennio, ricorrendo, solo saltuariamente, ad una tecnologia ridotta ai minimi termini. Nella quale non può mancare un modem obsoleto.

Martina Viola e compagni – Foto di Katia Zavaglia © Amazon Prime


È proprio questo oggetto d’antiquariato a determinare una svolta radicale nella vita di Ennio. Mentre, nel laboratorio, lui cerca di ripararlo su richiesta della stessa Viola, si ritrova trasportato, senza apparente soluzione di continuità, in un universo parallelo: al suo rientro nel negozio, il calendario, i protagonisti, i luoghi, gli automezzi sono i medesimi di prima, soltanto che… la tecnologia è ferma alla fine degli anni novanta, al pari dei prodotti che hanno sostituito i precedenti nella sua attività, ora incredibilmente e desolatamente “low-tech”. Colpa, qui, di un Millennium Bug questo sì disastroso, che un quarto di secolo prima aveva costretto le autorità mondiali a bloccare gli sviluppi informatici punendo gli eventuali trasgressori con reclusioni fino all’ergastolo. In mezzo a quella selva di cellulari Nokia, Pentium II, noleggi Blockbuster e cabine telefoniche con immancabili file, l’avveniristico smartphone di Ennio diventa quindi, al contempo, prova fondamentale dell’esistenza dell’altro mondo da cui lui proviene e rischio d’arresto immediato.
Ennio sarà chiamato a destreggiarsi tra pratiche tecnologiche non più attuabili e strategie primitive per lui inedite, senza filtri digitali e basate sulla la verità dei rapporti umani. Riuscirà a superare lo shock e a tornare nel suo vecchio, nuovo mondo?

Iniziava nel minuscolo e sperduto villaggio di Acitrullo, con il gracchiare di un modem 56k e una connessione che “s’anceppava”, Omicidio all’italiana, seconda regia di Maccio Capatonda (al secolo Marcello Macchia) dopo Italiano medio. In questa terza prova, sempre targata Lotus Production-Leone Film Group, l’autore-attore abruzzese si tiene stretta la propria simpatia verso un’Italia di provincia improntata su un salvifico “sottosviluppo tecnologico” e regolata da tradizioni, contraddizioni, mostruosità e risorse umane millenarie.
Tuttavia, a quel nucleo primigenio, fa compiere un salto alla 2001: Odissea nello spazio simile a quello che subisce il suo nuovo protagonista, declinandolo secondo ambizioni nuove e in gran parte sconosciute ai suoi personaggi precedenti. Complici una scrittura a quattro mani (in cui a Capatonda si sono affiancati Danilo Cartani, Barbara Petronio e Gabriele Galli) e una regia a tre (di Capatonda, Cartani e Alessio Dogana), da Il migliore dei mondi sparisce – con l’insostituibile spalla Herbert Ballerina – quasi l’intero impianto rustico e rutilante che colorava ogni passo degli altri due film, assieme al nonsense politicamente scorretto e alla vivificante illogicità di vicende – quelle sì – tragicamente assurde. L’asticella sale e l’“italiano medio” Maccio si ritrova davvero in un “nuovo mondo”, quello della narrazione classica figlia di un’intuizione forte e originale, scandita da una solida struttura in tre atti, una chirurgica selezione e giustapposizione degli elementi cardine – materici e tematici –, articolati approfondimenti psicologici, inquietanti interrogativi esistenziali, varchi di riflessione prima soltanto accennati o, addirittura, bellamente ignorati. Il tutto impreziosito da una hit d’autore, Condannata a danzare di M¥SS KETA.

I nostalgici del “vecchio Maccio” rimarranno un po’ delusi, gli altri apprezzeranno invece il coraggio del “nuovo” di allargare il proprio orizzonte di riferimento.

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.