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Di cuore, di passione : El Duende Dedicato al musicista che ha ispirato il personaggio di Dave

In Disney and Pixar’s “Soul,” Joe Gardner (voice of Jamie Foxx) is a middle-school band teacher whose true passion is playing jazz. When he gets lost in his music, he goes into "the zone,” an immersive state that causes the rest of the world to literally melt away. Globally renowned musician Jon Batiste will be writing original jazz music for the film, and Oscar®-winners Trent Reznor and Atticus Ross (“The Social Network”), from Nine Inch Nails, will compose an original score that will drift between the real and soul worlds. “Soul” opens in U.S. theaters on June 19, 2020. © 2020 Disney/Pixar. All Rights Reserved.
Di cuore, di passione : El Duende
Dedicato al musicista che ha ispirato il personaggio di Dave. ( Le situazioni sono di pura fantasia )
di Julie Hegel
 

Duende, termine spagnolo poco conosciuto, misterioso….ma procediamo con ordine.

                                                         Io
New York: perché proprio la grande mela? Perché é una città visionaria, leggera, elettrizzante e  si puo’ascoltare un jazz strepitoso
É passato un bel po’ di tempo da quando sono stata per la prima volta a New York, avevo 21 anni.
 Quei due anni vissuti negli USA  hanno lasciato un segno indelebile nella memoria e nel cuore: ma se ci penso, sembra ieri.
” Sono molto stanca, sono ore che l’aereo gira e rigira sulla città, dal JFK non danno l’ok all’atterraggio a causa dell’affollamento delle piste; finalmente si atterra, superati i controlli, guadagno l’uscita.
 Il jet lag si fa sentire, gli occhi sono pesanti, non ricordo quando ho fatto l’ultimo pasto, confesso che la notte mi inquieta.
 Trovo senza difficoltà l’auto che era stata  prenotata per me : 27km sono i chilometri  che separano l’aeroporto da Manhattan ma il traffico costringe a un continuo stop and go.
In  centro una moltitudine variegata sciama frenetica per le strade anche a quell’ora tarda, le luci  sfavillanti accecano,  credo siano state pensate per sostituire un cielo senza stelle.
Comincia così, in una notte di agosto, la mia fantastica, meravigliosa  avventura americana .
La città  che “mai dorme” mi accoglie con l’umido abbraccio di una notte caldissima e nuvolosa, “profuma” di  un odore strano, é un misto di  carburante, caffè, hotdog e sciroppo d’acero, assaporo quegli odori, mi stordiscono forse perché sono stanca e affamata.
Il vapore che esce dai tombini, sembra provenire da un vulcano sotterraneo e impregna l’aria.
La “grande mela” é tentacolare, mi avvolge, mi rapisce, mi strega e so che sarà per sempre.
 Sono incuriosita e al tempo stesso spaventata, così  distante da casa mi sento smarrita; arrivo al campus, finalmente un viso sorridente, un “ragazzo” gentile  si presenta :
“ciao, io sono Dave, puoi rivolgerti a me se hai bisogno di qualcosa”. 
Mi accompagna al mio  alloggio, mi lascia il suo recapito telefonico e mi da appuntamento per l’indomani”.
                                                       Dave
“I primi mesi sono durissimi, il lavoro di laboratorio é impegnativo e ho sempre tanto da  studiare.
É un pomeriggio piovoso, sono molto presa da una studio, qualcuno mi lascia una busta, é  un  invito ad una conferenza.
 Il tema della conferenza del professor Dave Wright, ordinario di fisica teorica, é “Oltre le stringhe: la teoria delle undici dimensioni”, argomento di grande interesse, non solo da un punto di vista scientifico ma molto stimolante per chiunque voglia avvicinarsi ai misteri irrisolti dell’universo.
 Devo affrettarmi, la conferenza é tra due ore, voglio partecipare.
L’aula é affollata: studenti, ricercatori, professori, tutti parlano fitto tra di loro, si salutano, si conoscono, mi sento un’estranea e molto a disagio.
Mi  faccio largo tra quella folla chiassosa ed esco da un ingresso secondario; appena fuori incontro  Dave che, in quel momento, sta dirigendosi verso l’aula :
“heeee, pare tu non sia interessata alla mia conferenza”.
Che confusione! Quello che io pensavo fosse uno studente, é un professore ordinario, lo guardo senza riuscire a dire una sola parola.
Lui aggiunge:
” ti piace il jazz?”.
 Faccio un cenno di assenso con la testa e lui:
” bene, ci vediamo qui questa sera alle otto, andiamo a cena, poi ti porterò a fare un giro turistico in notturna, scommetto che ancora non hai visto la città”
 Non ho tempo di rispondere, é già entrato in aula.
 La sera della conferenza é l’inizio di un’amicizia un po’ insolita, non sono una sua allieva, ma con lui mi sento sempre come la studentessa e il suo professore, un professore molto giovane ma pur sempre un professore.
Difficile descrivere Dave : é seducente, fantasioso, mai scontato; i capelli lunghi sono raccolti in un codino, gli occhi verdi e molto vivaci, un sorriso che sembra quello di un bimbo che  scopre la vita.
Ignora il dress code qualunque sia il contesto:  jeans, camicia  sportiva e sneakers, in inverno lo si può  vedere con una morbida sciarpa rossa intorno al collo.
Le sue lezioni sono quelle più richieste, lui sa sempre come catturare l’attenzione del suo pubblico.
É sempre circondato da una folla piuttosto al femminile:  studentesse, ricercatrici, docenti ….lui possiede quell’aura che é degli scienziati e degli artisti,  lui è l’uno e l’altro.
Dopo qualche mese trasloco al Greenwich Village.
 L’ appartamento é molto carino, ed é accanto a quello di Dave, nelle pause dal lavoro  andiamo a curiosare nelle botteghe artigianali del Village dove si trova di tutto, i negozianti sono gentili, spiegano, sorridono e offrono caffe’.
Dave mi guida alla scoperta delle suggestioni di una metropoli “segreta” :
di ogni angolo, di ogni strada, di ogni edificio racconta la storia, mi indica ogni dettaglio di una città dal fascino ineguagliabile.
La sera ci ritroviamo nei piccoli locali jazz del Village, sono frequentati per lo più da intenditori e da artisti sconosciuti ma talentuosi.
 Dave spesso si esibisce con il suo clarinetto,  conosce tutti e molti si fermano a chiacchierare e a bere qualcosa con noi .
Sulle performance di Dave  posso solo dire che sono gradevoli, ma non sensazionali; l’atmosfera dei localini é rilassata, ascolto discorsi a volte un po’ strampalati, la musica sempre protagonista.
Con Dave imparo ad apprezzare il jazz, è un esperto e mi fa amare questo genere che mi sembrava troppo di nicchia.
 Passiamo molte serate negli speakeasy di Harlem:  tanti amici, tanta animazione.
 É proprio nell’hot spot del jazz mondiale che Dave, dopo tanti mesi di clarinetto, inaspettatamente, siede alla batteria.
Rientrando, non posso fare a meno di fare domande, non mi aveva mai parlato della batteria, mi risponde:
 “da piccolo non avevo una batteria, allora mi divertivo a battere forchette e cucchiai di legno sui mobili, sulle sedie e ovunque ci fosse una superficie, come a  scandire il ritmo di una musica immaginaria”.
                                                 El Duende
” L’ultima  sera del mio soggiorno a New York, sono triste.
Dave mi aiuta con i bagagli poi mi dice:
” preparati, usciamo a cena, vedrai, sarà  piacevole”.
 Mah, penso a una festa a sorpresa, non che avessi voglia di festeggiare ma impossibile dirgli di no. Restiamo nel Village, a piedi imbocchiamo una stradina un po’  buia,  ci fermiamo, Dave bussa ad una porta, apre un uomo di colore dal viso simpatico, entriamo e ci conduce verso un seminterrato.
L’uomo ci fa accomodare ad un tavolo sotto un piccolo di palco e  ci porta da bere; ci servono una deliziosa cena barbecue e con grande stupore mangio, nonostante lo stomaco sembri bloccato.
L’ambiente é semplice ma molto accogliente e ha un che di magnetico;
 sul palco c’é un pianoforte, una batteria, la custodia aperta di un sax e un contrabbasso, tutto fa intuire che ci sarà un concerto,  jazz naturalmente.
 Dopo la mezzanotte il locale si affolla e sul palco arrivano i musicisti, Dave si alza e mi dice ” non muoverti ,arrivo presto”.
Lo guardo, non capisco.
 Sale sul palco, siede alla batteria, è una jam session, qualche brano lo conosco, altri non riesco proprio a individuarli.
Dopo un paio di passaggi, riconosco  le note  di ” if i love again” , da quel momento l’esecuzione entra in una modalità che non é più razionale, una modalità che sarebbe riduttivo chiamare solo improvvisazione.
 Quando Dave inizia il suo assolo, tutto si annulla:
 le note si levano nell’aria con una irruenza esplosiva ; riproduce tonalità suggestive che sono piene di un’energia travolgente eppure con una sorta di spiritualità  misteriosa, sembra quasi in trance,  é un linguaggio che parla di debolezze e di contraddizioni; il suo viso trasformato é come posseduto da una forza che lo spinge, che viene fuori forse da un dolore o da una passione che brucia, é come un fluido incandescente che lo attraversa e da lui raggiunge il  pubblico che ascolta immobile, ammutolito.
Dave chiude gli occhi e sorride, forse sta attraversando altri mondi o sta conversando con ombre del passato.”  É l’incanto del Duende  .
 Non trovo le parole  per definire il Duende e usero’ le parole di Federico Garcia Lorca  :
 “il duende non sta nella gola; il duende monta dentro, dalla pianta dei piedi.Vale a dire, non é questione di capacita’ ma di autentico stile vivo; vale a dire, di sangue; di antichissima cultura, e, al contempo, di creazione in atto”.
                                                      Io
Volete sapere di Dave? Beh, a chi vorrà leggerlo, lo svelerò nel prossimo racconto