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“Drowning” di Melora Walters con Mira Sorvino in anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma

Alla XIV Festa del Cinema di Roma (Selezione ufficiale), anteprima mondiale del film “Drowning”, opera prima di Melora Walters. Che – dopo i tanti ruoli interpretati in alcuni dei più celebri film degli ultimi trent’anni, da “L’attimo fuggente” a “Boogie Nights”, da “Magnolia” a “Ritorno a Cold Mountain” – figura qui quale protagonista assoluta.
La storia – dagli echi autobiografici – è quella di Rose, una madre in attesa.
In attesa che il figlio partito per il fronte ritorni e, prim’ancora, la rassicuri comunicandole di star bene. L’attesa si sviluppa quindi, logorante, tra una telefonata e l’altra, puntellata cioè dalle imprevedibili e sempre troppo brevi comunicazioni che provengono dall’altro capo del mondo.
In mezzo, la vita: il rapporto problematico con Frank, il compagno (interpretato da un profondo Gil Bellows), che sente crescere dentro di sé il proprio disagio di pari passo con l’aumentare della chiusura e della tensione della protagonista; l’unica amica e confidente, la designer di gioielli Mary (un’intensa e trattenuta Mira Sorvino, capace di tratteggiare un personaggio ricco di preziose e sorprendenti sfumature); e l’insegnante di nuoto Henry (il bravo Jay Mohr), presenza positiva, solare e delicatamente tenace.
Ed è proprio nel rapporto con queste due ultime figure e con le loro professioni che si può individuare la scommessa del film: resistere nonostante tutto, non annegare (“drowning”), risalire dall’atmosfera liquida e pervasiva che è quella di un’attesa del tutto impotente. La scommessa per Rose è dunque quella di riuscire a galleggiare, a vincere la forza di gravità che ci spinge in basso assecondando le forze contrarie. Che, dopo una lunga deviazione e la messa in discussione di se stessi, si possono rivelare potenzialità a nostro favore, occasioni per far risplendere la luce del gioiello che noi siamo.

Il produttore Jerry Ying

In “Drowning” (prodotto da Jerry Ying, Albert Chi, Sergio Rizzuto, Rory Rooney e Javier Montoya), Melora Walters si mette contemporaneamente dietro e davanti la macchina da presa, scegliendo per entrambe le dimensioni una posizione defilata, laterale – “tangenziale” – rispetto allo scorrere degli eventi: raramente la protagonista è oggetto di primi piani pieni, viene ripresa spesso di spalle, o di profilo o dall’alto, come nelle inquadrature a piombo sopra il letto. Soprattutto in queste ultime scene, risolte appunto con un’unica inquadratura, diversi “appuntamenti” intrecciati alla narrazione complessiva e che disegnano un intero rapporto in crisi (Rose abbracciata al compagno, poi Rose e Frank schiena contro schiena, infine Rose da sola), si individua la cifra stilistica della Walters autrice. Che potrebbe definirsi con un ossimoro: una “rarefatta condensazione”.
In “Drowning” si susseguono infatti quadri compiuti e uniti l’uno all’altro, l’incedere è fluttuante come i movimenti di un corpo in acqua e, insieme, incalzante come può essere l’esasperante attesa di qualcosa che non dipende minimamente da noi e da cui tuttavia la nostra vita dipende. Tanto più esasperante perché l’arrivo della telefonata che squarcia le pareti della casa non solo è impossibile da prevedere, ma può portare con sé la bella novità che “non ci sono novità”, novità negative (il trasferimento del ragazzo su un fronte più pericoloso – ciò che effettivamente avviene) o di sciagura. Oppure la novità cui nessun’altra può seguire.

Quel che sorprende è proprio la leggerezza e l’intensità con cui Melora Walters sa “raccontare un non-racconto”, individuare cioè, all’interno di una situazione che mette in crisi e rischia di annichilire i vecchi legami (innanzitutto “narrativi”), possibili connessioni inedite che aprono a una nuova vita e tessono la trama di una narrazione inattesa.