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Il cinema di Federico Fellini, la finzione che rivela le grandi verità. Buon compleanno Federico!

Federico Fellini
Federico Fellini

Il cinema di Federico Fellini, la finzione che rivela le grandi verità

In questi giorni, in questo giorno soprattutto, in cui si celebra Federico Fellini, insieme l’uomo e il suo cinema, giorni, serate, nottate – fonde – in cui ricompaiono i suoi capolavori ed emergono i dietro le quinte, gli special, le interviste e le auto-interviste… io vorrei concentrare il ricordo di uno dei massimi cineasti di ogni tempo su un aspetto ben preciso, forse dibattuto meno di altri ma evidente ogni volta che (ri)vediamo quel genio all’opera: il suo modo, peculiare e irripetibile, di “fare cinema”.
Guardateli, alcuni di quegli spezzoni che lo ritraggono sul set, dietro la cinepresa, con l’occhio nel mirino a preparare il movimento di macchina e poi sul profilmico, ad accompagnare l’operatore e orchestrare gli attori.
Già perché, prima che regista, Fellini era fumettista e direttore d’orchestra: egli gestiva e riempiva l’inquadratura esattamente come fosse uno dei tanti riquadri su cui aveva in gioventù disegnato le proprie vignette. Soltanto che non con una singola vignetta alla volta aveva egli a che fare sul set, ma con un’infinità di quadri che si succedevano uno dopo l’altro senza sosta; e non con matita e carta egli più lavorava, ma con la durezza delle scenografie e con corpi in carne ed ossa in movimento. Ed eccolo allora là, accanto alla sua “penna-cinepresa”, a parlare con i personaggi davanti a lui. Qualcosa che, in genere, un attore non sopporta: essere indirizzato verbalmente dal regista, una pratica che novantanove attori su cento accusano di spezzare la tensione e rivelare sfacciatamente l’artificio, un modus operandi irrispettoso verso l’arte recitativa, l’interprete ridotto a burattino…
Ebbene, era lo stile di Fellini, il quale nemmeno si curava delle riprese sonore dal vivo ché tanto poi tutto veniva doppiato (al punto che, davvero, l’attore anziché la battuta poteva pronunziare dei numeri).
Per Fellini il set era solo uno dei passaggi per giungere all’opera d’arte finita: prima, c’era tutta la preparazione, bozzetti colorati compresi; dopo, veniva la lunga post-produzione, con la messa in risalto dei soli suoni essenziali all’espressione dell’idea (talvolta ridotti all’inconfondibile fruscio di un vento onirico e spaziale) e il collante-potenziante immancabile e inscindibile di ogni scena: la musica. I capolavori di Fellini sarebbero gli stessi senza le musiche di Nino Rota?
Domanda retorica, per un fare cinema che selezionava e calibrava ogni singolo elemento e il cui esempio, oggi più che mai, riesce prezioso.
Cogliamo quindi l’occasione di questo magnifico centenario, per lasciarci meravigliare da chi non faceva semplicemente il regista, non si limitava a raffigurare la realtà, ma da essa traeva spunto per distaccarsene e creare film come autentiche opere d’arte indipendenti da tutto il resto. Perché sì, Fellini è stato un grandissimo bugiardo capace di rivelarci le più profonde verità.

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.