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Il regista della Palma d’Oro di Cannes 2019 si svela in conferenza stampa

Il regista della Palma d’Oro di Cannes 2019 si svela in conferenza stampa

C’era Quentin Tarantino, in concorso a Cannes 72. E un film che ha conquistato tutti. Un film che alterna i generi – dalla commedia, al dramma sociale al thriller – senza soluzione di continuità, che conquista con la “giusta distanza scopica” del suo regista, che stupisce per la cura della scenografia, per le dominanti cromatiche, per il gioco (orizzontale e verticale) con lo spazio e le dimensioni, per i chirurgici e rivelatori movimenti di macchina, per i ralenti, per le pause e le accelerazioni improvvise… Quel film non è “Once Upon a Time… in Hollywood”, e il regista non è Tarantino. La Palma d’Oro di Cannes 72 s’intitola “Parasite” (“Gisaengchung”) e il regista si chiama Bong Joon-ho.

Il quale, nella conferenza stampa seguita alla prima proiezione sulla Croisette, ha cominciato con il chiarire proprio il suo rapporto con i cosiddetti “generi”, così caro ai tanti giornalisti intervenuti. «Voglio comunicare contenuti sulla società attraverso la rottura dei codici», ha rivelato il regista sud-coreano. Per lui ogni cambiamento di tono (e dunque la fluttuazione tra un genere e l’altro) nel corso della narrazione è naturale e si riflette negli attori, che sentono alternarsi dentro di sé sentimenti sempre diversi, la gioia, la tristezza, la speranza, la tensione… «Seguo il mio istinto – ha continuato Bong Joon-ho – e rispetto la particolare interazione con il momento». Pertanto, il registro da lui di volta in volta raggiunto non è pensato in anticipo, ma è una conseguenza: «Io me ne accorgo solo quando rivedo il film». L’innata strategia di Bong Joon-ho è partire dagli elementi della tradizione per farli poi scontrare uno contro l’altro e vedere quello che succede. Questo d’altronde è il nucleo stesso di un film rivelatore sin dal titolo: i parassiti, la famiglia povera che s’innesta in quella ricca, sconvolgendone le dinamiche. «Per noi registi – ha concluso Bong Joon-ho – l’istinto è fondamentale».

Parole confermate dall’intero cast. L’attrice Chang Hyae-jin ha riconosciuto nel suo regista la grande precisione e l’attenzione ai minimi dettagli: «Quando chiede qualcosa – ha detto –, io cerco di farlo esattamente così». La collega Park So-dam ha sottolineato la capacità di Bong Joon-ho di incoraggiare ciascun attore, ciò che permette la massima naturalità della recitazione. Secondo l’attrice Cho Yeo-jeong, i personaggi rappresentano tutti aspetti della personalità del regista, e rivelano al contempo uno spettro emozionale completo. Efficace la definizione data all’esperienza vissuta con Bong Joon-ho dall’attore Lee Sun-kyun: «Un viaggio turistico con una guida sicura». Un sentirsi sempre considerati e accuditi che, secondo l’attore Song Kang-ho, dispensa ciascuno di loro dal recitare sopra le righe.

Nella conferenza stampa immediatamente successiva alla vittoria della Palma d’Oro, un «sorpreso e contento» Bong Joon-ho ha parlato del proprio stile, tornando sul discorso del “genere” e rivelando tre maestri cui s’è ispirato per “Parasite”: «Creo un universo completo. Mi piace e mi dà molti stimoli l’ascoltare i discorsi della gente seduto nell’angolo di un caffè. Quando scrivo una storia e i dialoghi non penso al genere, questo è un risultato, non una premessa. Tre registi mi hanno dato forza per “Parasite”: Claude Chabrol, Alfred Hitchcock e Kim Ki-young». Partendo proprio da questo maestro suo connazionale, Bong Joon-ho ha auspicato che la Palma d’Ora possa convogliare l’attenzione del pubblico mondiale sul cinema sud-coreano e i suoi grandi registi.

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.