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“ Il Signor Diavolo “: diabolico ritorno di Pupi Avati ai suoi vecchi amori

Il Signor diavolo di Pupi AvatiEra dagli anni a cavallo tra il ’70 e l’80 che Avati non si esibiva con l’horror o, meglio, con lo jumpscare, per spaventare lo spettatore: può anche piacere, ma questo film che egli stesso ha tratto da un suo libro di diversi anni fa si presenta improvvisamente come un noir ambientato in una provincia del Veneto dominata da un Po lugubre, intenso ed all’interno della quale la religione e la superstizione si contrastano e si fondono per descrivere un delitto feroce, inusitato, con la vendetta alla base di una pur evidente innocenza, ma non troppo, giovanile che ha per protagonisti Carlo e Paolino, due bambini amici da sempre.

Pupi Avati alla regia de Il signor diavoloSereni come soltanto nell’età pre adolescenziale si può essere, i due vedono scorrere la loro vita tra parrocchia, giochi e scuola ma ad un certo punto in oratorio viene introdotto Emilio, un essere deforme che secondo la gente del posto sarebbe figlio di una donna che si sarebbe congiunta con un maiale: Emilio, che sarebbe invasato dal diavolo e che avrebbe ucciso a morsi una sua sorellina deforme come lui.

Paolino, in un’occasione, lo umilia davanti a tutti perché, sostenuto in questa sua convinzione, dalle suore del locale convento e dai religiosi della parrocchia, lo ritiene l’incarnazione del diavolo provocandone la preannunciata terribile reazione: Paolino, preannuncia il mostruoso essere, morirà per opera del diavolo; ed avviene che Paolino muore veramente.

E’ qui che la superstizione e la religione si incontrano, o meglio, si scontrano: Emilio, l’indiavolato, viene trovato morto ( certamente ad opera di Carlo che lo uccide con un colpo di fionda ) ma il giudice che indaga per capire se effettivamente e perché Carlo sia l’autore dell’omicidio, non vuol credere al racconto del ragazzo che, pure, è reo confesso, tanto assurda sembra la vicenda.

Dal Ministero viene inviato un ispettore che si impegna per capire il come ed il perché del delitto ( e qui si inserisce un elemento di carattere politico perché, in effetti, l’ispettore dovrebbe dimostrare che la Chiesa non ha nulla a che vedere con la vicenda ) e scopre che molti sapevano della storia, particolarmente il parroco ed un altro prete, oltre ad un medico e ad un dentista che ha prelevato, di nascosto ed in accordo coi due religiosi, due denti dal cadavere del mostro; i due denti vengono inviati per lettera all’ispettore che, indagando, riesce a ricostruire l’intera vicenda giungendo a ritrovare il cadavere della sorellina del mostro che quest’ultimo uccise a suo tempo.

La vicenda, orrida di per se, è descritta magistralmente da Avati che ricorre ad immagini tetre, fortemente allusive, ed a personaggi tipici degli anni ’50 le cui figure vengono esaltate con grande maestria evidenziandone gli aspetti apparentemente buonistici ma effettivamente malefici alquanto, con scene sanguinolente, mefitiche che “ terrorizzano “ lo spettatore con una maestria che sa evidenziare, in forma assolutamente cupa, i drammi descritti  all’interno di un’area geografica a suo tempo cattolicissima ma comunque inficiata da credenze popolari che ancor oggi tengono viva tanto la superstizione che l’effettiva convinzione della esistenza del diavolo; lo fa con il ricorso ad immagini cupe che evidenziano i suoi ed nostri incubi quotidiani dominati dall’esistenza del male che sebbene temuto, risiede in ognuno di noi.

Ma, come alla fine del film si vedrà, quel diavolo che la Chiesa fortemente combatte, regna, sembra impossibile, non soltanto dentro ognuno di noi, ma proprio anche e particolarmente al suo interno.