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La fiaba di INDIVISIBILI, piccolo capolavoro di Edoardo De Angelis

indivisibili1indivisibili2indivisibili5indivisibili4indivisibili3indivisibili6indivisibili7Anteprima di “Indivisibili” stamani alla Casa del Cinema di Roma, con consegna ufficiale del Premio Pasinetti al Miglior Film. L’opera terza di Edoardo De Angelis (“Mozzarella Stories” e “Perez.”), prodotta da Attilio De Razza e Pierpaolo Verga, distribuita da Medusa e applaudita a Venezia 73 nella sezione “Giornate degli Autori”, conferma il notevole talento del giovane regista campano.
Con la propria presenza e il proprio sguardo disarmante, le due gemelle siamesi protagoniste del film, coinvolte dai genitori in un remunerativo giro di esibizioni canore, tra cerimonie private e funzioni pseudo-religiose, trasfigurano la multietnica e disagiata periferia, i suoi spazi desolati e i suoi abitanti disorientati. E, a poco a poco, prendono consapevolezza della possibilità di affrontare la sfida più grande, seducente e inquietante insieme: separarsi. Ossia, per la prima volta nella loro vita, passare dal “noi” all’“io”, emanciparsi dal circo mostruoso in cui sono state buttate e iniziare a costruire una propria identità, fatta di passioni, interessi e prospettive finalmente diversi.
Come confessa in conferenza stampa, De Angelis s’è ispirato innanzitutto a “Freaks” (e alle due siamesi protagoniste, di cui le sue hanno ereditato i nomi), ma – ritengo io – egli guarda anche a “La donna scimmia” di Marco Ferreri (suo omonimo è il losco mangiafuoco di “Indivisibili”). E naturalmente al cinema di Matteo Garrone: come lui – e qui probabilmente aiutato dagli ottimi sceneggiatori Barbara Petronio e Nicola Guaglianone, quest’ultimo anche ideatore del soggetto –, De Angelis è in grado di individuare la fiaba dentro le dimensioni che da essa sembrano più distanti. Più spiccata che in Garrone, inoltre, è la sua capacità di accendere la narrazione con momenti sospesi tra il realistico e l’onirico, senza mai privilegiare né l’uno né l’altro, ma mantenendosi sempre in quel fragile equilibrio che trasfigura il materiale di partenza e apre le porte alla poesia universale. È ben comprensibile, dunque, il successo che il film ha appena riscosso all’estero (Toronto International Film Festival) e che confermerà senza dubbio nelle nostre sale (più di centocinquanta le copie previste a partire dal 29 settembre).

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.