Festival / Eventi

Leone d’Argento e Coppa Volpi per THE FAVOURITE di Yorgos Lanthimos

THE FAVOURITE

Presentato in concorso alla 75. Mostra del cinema di Venezia, il settimo lungometraggio del talentuoso regista greco (Gran Prix Speciale della Giuria a Cannes, Migliore Sceneggiatura a Venezia e Cannes, due candidature agli Oscar) si è aggiudicato ieri sera due tra i premi più prestigiosi, il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, assegnato ad Olivia Colman.
La quarantaquattrenne attrice inglese interpreta Anna Stuart (1665-1714), regina di Inghilterra, Scozia e Irlanda dal 1702. La prova della Colman aveva lasciato tutti a bocca aperta già nella prima assoluta per la stampa. Il personaggio ch’è riuscita a restituire, infatti, da un lato è appesantito, imbolsito e segnato dalla gotta; dall’altro, alterna il tipico atteggiamento altero, superiore e capriccioso di un sovrano ad un’intima e cronica fragilità (nessun figlio dopo essere rimasta incinta quasi due decine di volte) che l’avvicina più a una bambina indifesa che a una donna dai massimi poteri. Una bambina che, come tutte, è generosa ed egoista insieme. Soprattutto, molto, molto golosa… E non solo di cibo.
Ne sanno qualcosa le due cugine Sarah Churchill (Rachel Weisz) e Abigail Masham (Emma Stone). La prima è “la favorita di partenza”, la seconda – che le vicende di famiglia hanno fatto decadere socialmente – mira a diventare “la sola favorita”. Il film di Lanthimos (che si ispira a fatti storici documentati) racconta la più classica delle scalate sociali (basti solo pensare a “Showgirls” di Paul Verhoeven) di una donna bella e tenace ma inizialmente svantaggiata che, con la propria determinazione e mettendo da parte scrupoli e autentiche amicizie, si avvicina passo dopo passo alla meta ch’è finalità di un’intera esistenza. Sennonché…
“La favorita” ricorda un po’ anche “Marie Antoinette” di Sofia Coppola, con la capacità di rendere vicini a noi personaggi, ambienti e dinamiche di tre secoli fa. Anche qui il regista fa sentire la propria presenza, con arditi fisheye, riprese dal basso, panoramiche (quasi) a schiaffo e ralenti. Il tutto risulta però ben amalgamato nel tessuto filmico, sorprende senza mai infastidire. E conquista, com’è evidentemente avvenuto coi giurati del Festival di Venezia.