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PATERSON – Jarmusch e la poesia

Paterson è un autista di autobus. Vive a Paterson, nel New Jersey, con la moglie Laura e un Bulldog inglese di nome Marvin. Nei ritagli di tempo scrive poesie in un taccuino. Poesie che parlano di piccole cose in una vita apparentemente vuota e monotona.

Jim Jarmusch ci aveva lasciati a bocca aperta col suo Solo gli amanti sopravvivono, nel 2013, donandoci un ritratto tanto personale e immaginifico di quelle che sono diventate oggi le interazioni sociali, soffermandosi soprattutto sul campo dell’arte musicale. Con Paterson, questo regista straordinario ritorna a girare un film a dir poco sublime, dove su ogni inquadratura lo spettatore è costretto a posare gli occhi e a interrogarsi sul senso di ogni piccolo dettaglio ripreso. Per quasi due ore si ha come la sensazione di seppellire la testa in un libro di poesia, lasciando che sia la mente, l’anima, il cuore a congetturare e interpretare. Jarmusch ricerca e trova la poesia nella reiterazione dei gesti. Il protagonista, Paterson, interpretato magistralmente dal bravissimo Adam Driver, conduce infatti una vita profondamente abitudinaria. Si sveglia all’alba col suo “orologio silenzioso”, bacia la donna che ama e poi va sul posto di lavoro. E non accende il motore del Bus se prima non ha impregnato la pagina del suo taccuino di parole e inchiostro; ascolta le storie dei passeggeri, la sera porta Marvin a spasso e si ferma al Bar, a sorseggiare birra e riflettere sulla giornata. Cosa c’è di poetico? Poetico è tutto ciò che Paterson scrive. La sua vita, apparentemente melensa e noiosa si trasforma quando viene descritta con le parole. E così una semplice scatola di fiammiferi, la sua stravagante e sconclusionata fidanzata, o concetti più profondi come il tempo, diventano oggetto di osservazione, sublimazione, astrazione. Jarmusch riesce inoltre a trovare la poesia anche affrescando la struttura sociale di Paterson. Le inquadrature ripetute sui palazzoni, le fabbriche o i primi piani sulle scarpe consunte degli operai che vanno a lavorare, sono emblematiche dell’attenzione che il regista vuole rivolgere anche e soprattutto al mondo della periferia, troppo spesso considerata suburra e invece culla di realtà semplici e allo stesso tempo meravigliose. Con una fotografia quadratissima e un montaggio che ricorda molto il suo -forse- più grande capolavoro che è Ghost Dog , Paterson è anche un film dai tanti pregi tecnici, che si manifestano soprattutto nell’uso delle soggettive e dei campi larghi, dove non siamo solo noi a godere delle immagini ma sono le immagini che sembrano volerci parlare e farci ragionare su ciò che abbiamo appena visto.

Film quindi grandioso, Paterson di Jim Jarmusch, che conferma nuovamente il talento indipendente del regista americano e che colpisce più che lo stomaco, la testa di chi sta in sala. Ed è questo il cinema di cui si sente oggi il bisogno.

Luca Di Dio