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Su RaiPlay arriva l’attesa serie “Il Santone #lepiubellefrasidiOscio”. Intervista esclusiva ad uno degli interpreti, Fabrizio Giannini

“Il Santone”: Fabrizio Giannini sul set
La locandina di “Il Santone” © RaiPlay

Il protagonista della serie, interpretato da Neri Marcorè, è Enzo Baroni, un antennista romano (di Centocelle) che scompare all’improvviso. Riappare dopo mesi, ed è totalmente cambiato: indossa un mundu indiano, porta una barba lunga ed emana un’aura di serenità. Non sa nemmeno lui che cosa gli sia successo, l’unica certezza è il fascino magnetico che esercita su tutti coloro che incontra. Un’agente televisiva trasformerà Enzo nel “Santone di Centocelle”, per tutti “Oscio”. La regia è di Laura Muscardin, che per la televisione ha già diretto “Tutti pazzi per amore” (Rai Uno, assieme a Riccardo Milani) e “Matrimoni e altre follie” (Canale 5); gli interpreti che affiancano Marcorè sono: Carlotta Natoli, Rossella Brescia, Beatrice De Mei, Claudio Segaluscio, Alessio Sakara, Chiara Basserman, Davide Devenuto, Alessandro Bertoncini, Guia Jelo, Alessandro Riceci, Maurizio Repetto e… Fabrizio Giannini. Che ci ha concesso questa intervista.

“Il Santone”: Fabrizio Giannini e Neri Marcorè


Domanda – Caro Fabrizio, sappiamo che la tua carriera nello spettacolo è iniziata esattamente come quella di alcuni mattatori della nostra televisione: nelle vesti di animatore nei villaggi turistici. Avevi già l’obiettivo di dedicarti, un giorno, totalmente alla recitazione? Raccontaci la prima volta che ti sei esibito davanti ad un pubblico, le tue emozioni, le tue paure…
Risposta – Iniziò tutto per caso, semplicemente… l’ho fatto. Studiavo giurisprudenza, facevo politica e giocavo a pallone. Nella mia famiglia non avevo riferimenti artistici. È la recitazione che ha trovato me e mi salvato la vita. A ventun anni, salii sul palco e mi divertii, sentendomi subito a mio agio. Ricordo che, dopo una settimana, dovetti sostituire i capi che erano a letto con la febbre, presentai una serata e alla fine i miei colleghi mi domandarono da quanti facessi questo mestiere. Io risposi: “Da oggi”.

Hai preso ispirazione da qualcuno, per le tue performance?
Gigi Proietti è stato il mio supereroe! Sono nato con “A me gli occhi, please”, uno spettacolo che ho visto e rivisto centinaia di volte. A lui devo l’idea che il palco è un luogo dove tutto è possibile e che non esistono generi diversi, ma idee diverse. Poi sono andato alle origini e ho incontrato Petrolini. Non è un caso che il mio nome sia Fabrizio Gastone Giannini: mio nonno si chiamava così perché suo padre era fan di Petrolini. Nella mia maturazione artistica è poi venuto Gaber, ed ho incontrato Vittorio Gassman e Al Pacino.

Che cosa porti con te, oggi, di quelle prime esperienze?
La gavetta. La conquista della scena, il sudore, le ore di prove. La ricerca e lo studio per trovare testi nuovi. Poi gli spazi piccoli, a volte piccolissimi… Serate in giro per l’Italia… Diciamo che la mia, più che una gavetta, è stato “un gavettone” [sorride, NdR].

Come si è evoluta la tua carriera?
Lo spettacolo che ha segnato la svolta è stato “Il capolavoro” di Edoardo Falcone. In quello spettacolo, il primo di Edoardo, ho capito che qualcosa era cambiato e che ce la potevo veramente fare. Le cose sono andate di conseguenza, sono arrivate le prime fiction (“Carabinieri” e “I Cesaroni”) e altri lavori, incontri, persone come Raffaele Mertes [regista, tra l’altro di “Le tre rose di Eva”, NdR], con cui ha fatto molte fiction. Sempre grazie ad Edoardo, ho conosciuto Massimiliano Bruno. A Napoli, al provino di “7 vite” (una serie per Rai Due), ho conosciuto Giancarlo De Simone, figlio del grande Mario, un importante agente che ha creduto in me quando non ero nessuno. Nella vita, le cose accadono…

Com’è stato lavorare per “Un medico in famiglia”, nel quale hai interpretato il ruolo di Augusto? Ti sei trovato a tuo agio nel prodotto televisivo destinato al grande pubblico?
Devo tutto a Carlo Principini, direttore artistico di quella fortunatissima serie. Carlo mi veniva a vedere in teatro ogni cosa facessi. Con la Publispei (la società che ha prodotto, tra l’altro, “7 vite”) feci il provino per “Un medico in famiglia”. Mi scelsero per un altro ruolo, ma una mattina Carlo mi telefonò e mi disse: «Non fare quello, devi fare Augusto, se lo fai lo scriviamo su di te», e così è andata. Devo tanto a Carlo. Lavorare in quella serie è stato meraviglioso. Da Lino [Banfi, NdR] ho imparato tantissimo. Elisabetta Marchetti, Isabella Leoni e Matteo Mandelli sono degli ottimi registi. Ancora oggi, mi capita che qualcuno mi chiami “Augusto” e devo dire che è bellissimo

Raccontaci le tue partecipazioni cinematografiche, dai film di un autore navigato come Massimiliano Bruno ad un’opera prima quale “Razzabastarda”, esordio alla regia di Alessandro Gassman.
Ho avuto la fortuna di lavorare con registi bravi. Alessandro fu una sorpresa come regista e come uomo, una persona ed un artista di altissimo livello. Massimiliano Bruno è un amico che conosco da una vita e stimo immensamente, anche se è juventino [ride, NdR]… Ho partecipato a tre suoi film e sempre con la voglia di essere vicino a lui, che è una forza della natura. Con Edoardo Falcone, il rapporto è andato oltre. Ho fatto tutti i suoi spettacoli, l’ho diretto nel suo monologo teatrale ed ho partecipato a “Se Dio vuole” e “Io sono Babbo Natale”, dove ho avuto l’onore di essere sul set con Gigi Proietti e anche Marco Giallini (so che Marco non ci rimarrà male, se metto davanti il maestro…). Edoardo, lo considero un fratello con cui condivido molto: quando ha vinto il David di Donatello con “Se Dio vuole”, non nascondo che mi sono commosso, tanto. Nel suo ultimo film, “Il principe di Roma”, ha fatto debuttare mio figlio Adriano.

Un ritratto di Fabrizio Giannini


Essere attore impegnato… all’interno del palinsesto televisivo. Penso a Rai Tre e al programma “Passato e presente” di Paolo Mieli, nel quale tu hai declamato “L’editto di Costantino” di Dante Alighieri: che esperienza è stata? Un programma televisivo, con i suoi tempi e le sue esigenze di share, soddisfa le tue aspettative?
Sono un attore “proiettiano”, studio e mi piace il mio mestiere. Quando a pelle sento che una cosa mi piace, la faccio. Trovarmi nel chiostro di Sant’Alessio a leggere una traduzione di “L’editto di Costantino” è stata un’esperienza da brividi. Ilaria Scala, autrice e regista Rai, mi chiama per i suoi programmi su Roma ed io a lei non posso dire di no: è la moglie del mio compagno artistico, Gabriele “Pommidoro” Barettin.

Dicci di più del tuo impegno sul territorio romano, gli spettacoli che da anni curi e metti in scena e che ti hanno portato all’assegnazione dell’Oscar capitolino…
Amo Roma più di qualsiasi cosa al mondo, da sempre sono impegnato nel sociale e per raccontare la mia città. Sono riuscito a fare cose bellissime: Petrolini recitato a casa sua, spettacoli su Trilussa, Cacini e la romanità tutta, sempre assieme a Gabriele, figura centrale nei miei spettacoli. Penso a quando, grazie alla trasmissione radiofonica “Te la do io Tokyo”, organizzai “So’ romano veramente e me ne vanto” ed avemmo tutti gli artisti romani in scena… Poi al video realizzato durante il lockdown, “Miracolo a Roma”, in cui ho vissuto un’emozione difficile da raccontare a parole. Era l’aprile del 2020 ed io mi sono perso in una Roma deserta, in quel silenzio in cui pareva che fossimo soli, lei ed io… che emozione. Gabriele, il suo pianoforte, le sue musiche… ci sono stati sempre. Il premio “Simpatia”, da oltre mezzo secolo considerato “L’Oscar capitolino”, lo ricordo come uno dei riscontri più intensi della mia carriera. In un momento particolare della mia vita, è come se Roma mi fosse stata vicino.

Da cinque anni sei anche docente: immagino che sia per te un’esperienza che ti completa, trasmettendoti tanto ad ogni lezione…
Adoro i miei allievi. Mi piace il rapporto e l’empatia che si creano, mi piace scavare nelle corde dell’anima e aiutare i ragazzi a cercare dentro di sé con sincerità e pulizia. Ringrazierò sempre Accademia Artisti, la scuola che mi ha accolto come docente e da anni mi dà la possibilità di incontrare ragazzi in tutta Italia.

“Il Santone”: Alessandro Bertoncini, Davide Devenuto e Fabrizio Giannini


Ora, RaiPlay e “Il Santone”: raccontaci tutto, com’è nato il progetto e come sei stato reclutato, qual è il tuo ruolo, che cosa porti con te di una produzione destinata ad una delle piattaforme online più seguite d’Italia…
Ho fatto il provino per il personaggio di un barista di Centocelle. Sentivo di essere adatto al ruolo e ho pensato: «Sono io!». Sono nato a Casal Bertone e mi sono poi trasferito a Tor Treste, entrambi quartieri di Roma. A Centocelle ho vissuto gli anni della scuola. “Il Santone” è un progetto originale e innovativo, con un cast fantastico. Ho sempre trovato i meme di Federico Palmaroli bellissimi, raccontano una romanità vera. Spero e credo che le persone troveranno in “Il Santone” una Roma verace, come Federico ha chiamato in un suo libro le frasi di Osho. Una Roma popolare e variopinta. Il bar che gestisce il personaggio da me interpretato sarà il centro di tante storie e tanti mondi. Fammi dire che ho incontrato una regista con una forza enorme, Laura Muscardin. Ci siamo annusati all’inizio e poi è nato un bel feeling. Il cast è strepitoso: Neri Marcore, Carlotta Natoli e Rossella Brescia. Nel bar condividerò storie e “storiacce” con due ragazzacci come Davide Devenuto e Alessandro Bertoncini, rispettivamente uno stalker e un “tossichello”. E un bullo, che sarà Alessio Sakara. Sono più emozionato di quando stava per uscire “Un medico in famiglia”, lo ammetto.

Ti ringraziamo della tua disponibilità!
Grazie a te, ci vediamo da venerdì 25 febbraio su RaiPlay!

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.