Amministrazione Nixon. La guerra infuria in Vietnam. La guerra più impopolare della storia americana, per l’esattezza. Il Times riceve un’ingiunzione di non divulgazione e pubblicazione di documenti top secret. Documenti che incastrerebbero i governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Il giornale di New York esce di scena. E’ il Post, di Washington, che adesso vuole pubblicare queste informazioni.
A parte la parentesi fantasy di GGG, Steven Spielberg ci aveva lasciato con lo straordinario Il ponte delle spie. Film, vale la pena ricordarlo, a carattere storico e assai impegnato politicamente. Il regista replica ora con questo capolavoro: The Post. Ebbene, cosa funziona di quest’opera? Funziona tutto! Una pellicola dove trovare sbavature è pressoché impossibile. Ritmo concitato nella fase in cui si sviluppa il thriller giornalistico, che ricorda il miglior cinema di Alan J. Pakula; ricostruzione storica assolutamente rigorosa, che ci regala anche immagini di repertorio; una buona dose di melò classicissimo, dove una Meryl Streep in forma smagliante (che mai come per questa interpretazione merita una statuetta alla notte degli Oscar) mette a nudo i sentimenti, i dolori e il passato del suo personaggio; infine i tratti, quelli a cui Spielberg tiene sempre di più, di umanizzazione dei personaggi. Che nei suoi film acquistano una luminosità speciale, quasi unica. The Post è però, e soprattutto, altro. I protagonisti della vicenda, per quanto perfettamente sfumati e psicologicamente connotati, raramente possono essere ascrivibili solamente ai ruoli assegnati alla Streep e a Tom Hanks. C’è come una patina, vera protagonista incontrastata del film, che avvolge il film per la sua intera durata. Una patina che corrisponde ad un grido di libertà. La libertà di stampa, in questo caso specifico. Spielberg si cimenta in questa pellicola storica/investigativa per proiettarsi nel presente. Un presente che con il Presidente Donald Trump porta con sé i rischi dello sgretolamento della libertà di espressione e di pubblicazione. C’è ben poco da dire, quindi, su The Post. Un’opera importante, sotto ogni punto di vista. Un’opera che smuove le coscienze e che ci sussurra all’orecchio che negli uomini, in fondo, si può ancora credere.
Luca Di Dio