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THE SHAPE OF WATER l’estetica di del Toro

Vincitore del Leone d’oro quest’anno a Venezia e con 13 candidature agli Oscar a suo carico, The Shape of Water ha tutte le carte in regola per essere uno dei migliori titoli dell’anno e certamente tra i più interessanti e suggestivi dell’intera filmografia del bravissimo Guillermo del Toro.

Si parte con una voce fuori campo e un lungo piano sequenza subacqueo per andare a ritroso e raccontare quella che è in linea di massima una favola. Una di quelle favole che ricordano a tratti la Disney o il cinema di Spielberg. Baltimora, 1962: una donna senza voce (Elisa), che conduce con monotonia qualsiasi azione della sua vita – anche la masturbazione -, lavora come donna delle pulizie in un laboratorio di Stato durante gli anni della guerra fredda. Ha soltanto due amici: il vicino Giles e la collega di colore Zelda. Un giorno viene rilasciata in laboratorio una creatura anfibia come cavia per esperimenti e Elisa ne rimane incredibilmente affascinata. Quando poi il “mostro” si trova definitivamente in pericolo architetta un piano di fuga per difendere i suoi nuovi affetti.

The Shape of water è un film esteticamente incantevole. La fotografia, in perfetto stile del Toro, richiama sovente l’atmosfera gothic tanto cara al regista. Tonalità scure e forti anche i giochi d’ombre. La regia, di cui forse appare quasi scontata la vittoria agli Oscar, è equilibrata e classica (basti pensare alla riuscitissima scena del balletto in bianco e nero), con la macchina da presa che si sposta lentamente inseguendo i personaggi e i loro sentimenti e le loro paure. Non è perciò discutibile quello che è il lato meramente tecnico della pellicola. Ma La Forma dell’acqua, questo il titolo con cui il film è approdato nelle sale in Italia, è anche e soprattutto un’opera che rimanda a un romanticismo che sembrava stesse esaurendosi. Un romanticismo che va da Dracula a Frankenstein, dove l’uomo e la creatura “altra” si mescolano lasciando che il bene e il male diventino due categorie labili e soggette alla relatività; dove personalità relegate quotidianamente ai margini della società riescono invece a convivere, o ci provano, instaurando collaborazioni e stringendo legami empatici. Un film, insomma, che se vogliamo può essere anche profondamente politico. Per la sua capacità di descrivere il “diverso” e di suscitare domande su chi siano realmente i cattivi e i giusti all’interno di una storia che vede sì al suo centro una creatura inquietante e spaventosa, ma che è capace di comunicare e di amare nonostante sia preda dello sciacallaggio di due potenze in contrasto fra loro.

Luca Di Dio