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Venezia 76 VR: intervista esclusiva a Miwa Komatsu

Miwa Komatsu al termine dell'intervista
Miwa durante l’intervista (2)

DOMANDA – La ringrazio innanzitutto della Sua squisita disponibilità. Le rivelo che, senza sapere che di lì a poco ci saremmo incontrati per questa preziosa intervista, “Inori VR” è stata la prima opera in cui mi sono immerso al Lazzaretto Vecchio. Mi ha profondamente colpito. A fianco compare il Suo dipinto: che relazione c’è tra le due opere?
RISPOSTA – Avevo collaborato con HTC per la produzione dell’opera VR. La decisione di effettuare la performance di live painting, invece, è stata presa successivamente.

D – Perché ha sentito l’esigenza di affiancare la materialità del dipinto all’immaterialità dell’opera di realtà virtuale?
R – Una volta approdata al Lazzaretto Vecchio, mi è stata raccontata la storia delle persone colpite dalla peste che erano state confinate là e là avevano trovato la morte. Ho quindi deciso di creare quest’opera affiancandola a quella di VR. Ho intitolato entrambe, appunto, “Inori” [“Preghiera”, NdR] in onore delle persone decedute in questa circostanza.

D – “Inori VR” è un viaggio in un mondo variopinto e chiuso che, a poco a poco, con il progredire della nostra esplorazione, si apre: il terreno, il cielo, le grotte, la scacchiera di rocce che si scompone, i petali che aspettano il tocco delle nostre dita per produrre un tintinnio… Questa opera VR è un tentativo di messa in immagini e suoni della Sua arte?
R – “Inori VR” rappresenta l’introduzione a un mondo difficile da spiegare a parole o con l’ausilio di tavole bidimensionali. Grazie alla realtà virtuale, HTC è riuscita a creare un’atmosfera con la quale le persone possono interagire, avvicinandosi al mio mondo interiore e scoprendo gli animali e le creature mitologiche che vedo e che normalmente sono inaccessibili agli altri. “Inori VR” permette a tutti di condividere un’esperienza sensoriale analoga a quella che io vivo.

D – Il risultato di quest’opera VR La soddisfa? Quanto fedelmente rispecchia il Suo mondo interiore?
R – HTC ha raggiunto il miglior risultato possibile, che mi soddisfatta completamente. Nel corso della progettazione, l’unico problema tra me e i creatori VR è stata la comunicazione relativa ai “Leoni guardiani”, far cioè capire loro come io li vedo muoversi e interagire, affinché l’opera in VR fosse il più vicino possibile alla mia esperienza. Inevitabilmente, era complesso indicare tutto questo in 2D affinché fosse poi trasportato nel 3D.

D – Che strategia ha quindi adoperato per comunicare al meglio con i creatori VR?
R – Le modalità di comunicazione sono state diverse. In molti casi, ho disegnato io stessa su carta le figure e i movimenti [ci mostra alcune sue tavole preparatorie, NdR], spiegando come i “Leoni guardiani” dovessero muoversi. Per agevolare il processo, per potenziare le informazioni che sentivo l’esigenza di fornire, s’è fatto ricorso anche alla pre-visualizzazione di ambienti 3D con l’utilizzo della realtà virtuale.

D – Pensando a “Inori”, la decisione della Biennale di Venezia di dedicare al mondo VR proprio l’isola del Lazzaretto Vecchio riveste una valenza magica e misteriosa, provvidenziale verrebbe da dire. Come si concretizza il Suo contatto con gli spiriti dei defunti e dei viventi, come si traduce sul dipinto?
R – Sono innanzitutto necessari rispetto e comprensione per le anime con cui mi metto in contatto, occorre capire come si sentano perché loro, esattamente come noi, provano dei sentimenti. Per questo ogni mattina mi dedico alla meditazione. Quando mi trovo in stato di meditazione, spesso vedo comparire attorno a me gli spiriti. La stessa cosa che è successa al Lazzaretto Vecchio: prima di realizzare il live painting, ho meditato. Anche se mi sembrava di guardare esclusivamente avanti a me, concentrata su un unico punto, in realtà vedevo a trecentosessanta gradi, percepivo tutte le anime che uscivano attorno a me, mi raggiungevano e comunicavano con me.

D – Che cosa desidera offrire alle anime con cui comunica?
R – Viaggiando in tutto il mondo, sono entrata in contatto con gli animali mitologici e gli spiriti delle più diverse culture. Cerco di essere un intermediario e unire questi spiriti e figure mitologiche differenti, cerco di essere quanto più aperta possibile, per individuare una connessione tra loro e il mondo dei viventi.

D – Come nasce e si sviluppa il Suo rapporto con le anime?
R – Per me è molto naturale mettermi in contatto con le anime. Sono in contatto con anime sia di morti che di vivi, e per viventi intendo i vegetali, gli animali e gli uomini. Da bambina, sulle montagne di Nagano, giocavo con le piante, gli alberi e ne udivo le voci.

D – Sono le anime che decidono di entrare in contatto con Lei o viceversa?
R – Ci sono diverse vie per suscitare un contatto con i vivi e i morti. Attraverso la meditazione, posso connettermi con queste anime e sentirne la voce. A volte, sono loro che vengono da me per chiedermi qualcosa, che interceda per loro comunicando un messaggio. Altre volte, invece, sono io che, vedendole attorno a me, vado verso di loro.

D – Quando avviene il contatto? È sempre preparato attraverso la meditazione o può avvenire “a sorpresa”?
R – Il contatto avviene sia sotto meditazione che a sorpresa, nella vita quotidiana, in modo naturale. La meditazione è comunque fondamentale, perché solo attraverso essa riesco a comprendere le anime in maniera rispettosa, intensa e profonda. [Il quadro viene poi creato dopo la meditazione, NdR]

D – Che destino auspica per i dipinti che Lei crea?
R – È il dipinto che deciderà il proprio destino. La più grande missione della mia vita è esprimere la connessione con le anime e con gli spiriti, quel che le anime desiderano che io comunichi. Una volta che l’opera è conclusa, il suo destino non è affar nostro, non siamo noi che stabiliamo dove mandare l’opera ma è essa stessa che sceglie dove andare. Sono gli spiriti che decidono il destino dell’opera.

 

D – Come si è sviluppato il rapporto con la Maison Christian Dior?
R – Sono stata scelta da una rivista, quindi non sono stata scoperta direttamente da Dior. È stata poi la rivista a portarmi all’attenzione della Maison, che stava cercando proprio in quel periodo un testimonial per la linea di profumi Sakura [dal nome del fiore del ciliegio, NdR]. Sakura è un fiore molto importante per la cultura giapponese, annuncia la primavera, la nuova stagione. I giapponesi credono inoltre che, al suo interno, viva una fatina. All’appello di Dior avevano risposto molti altri candidati, ma la Maison non ha avuto dubbi. Sì, per Dior è stato un colpo di fulmine.

 

D – Ora che la Sua arte ha fatto ingresso nel nostro paese, che risposta si aspetta dal pubblico italiano?
R – In Italia mi sono appena affacciata, è soltanto la terza volta che ci vengo. Con la mia arte desidero mostrare rispetto e apprezzamento nei confronti del popolo italiano e della sua cultura. Quando ho creato i “Leoni guardiani”, che in Giappone, in quanto protettori degli dei, si trovano davanti alle porte principali dei santuari, mi sono resa conto della loro vicinanza al Leone simbolo della città di Venezia. Trovo molti punti di contatto tra l’Italia e il Giappone, e non solo in forza delle corrispondenze tra queste specifiche figure. Credo infatti che noi tutti siamo connessi. La cultura è, secondo me, uno dei modi per esprimere tale connessione globale. Sono molto grata agli italiani e sono convinta che sia anche grazie a loro, se io posso esprimere tale gratitudine ed apprezzamento per la cultura italiana.

D – Grazie di cuore, Miwa Komatsu.
R – Grazie a voi!

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.