Recensioni Film

“Gli spiriti dell’isola” affogano nella noia

Osannato all’ultimo Festival di Venezia, con la coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Colin Farrell, vincitore di 3 Golden Globe, salutato come un capolavoro dalla critica: “semplicemente perfetto”, “tremendamente divertente e brillantemente interpretato” come si legge nella locandina con tanto di 5 stelle. Le aspettative per The Banshees of Inisherin, tradotto in italiano come Gli spiriti dell’isola ha lo stesso effetto di un coito interrotto: vai al cinema sperando di vedere il film dell’anno (nelle nostre sale è in programmazione dal 2 febbraio) e resti infastidito e stordito per la pochezza della storia e della sceneggiatura.

Peccato perché le premesse per questo film del regista londinese Martin McDonagh (qui al suo quarto lungometraggio) erano davvero buone, a partire dall’ambientazione, una piccola isola, Inisher posta all’imbocco della baia di Galway, sulla costa occidentale dell’Irlanda, al contesto storico, la guerra fratricida in Irlanda, legata alla conclusione del conflitto civile tra le milizie di Dublino e l’esercito inglese nel triennio 1916-1919, fino all’attesa di rivedere insieme Colin Farrell e Brendan Gleeson dopo l’esordio cinematografico di In Bruges del 2008 sempre sotto la regia di McDonagh. Invece il film, lento, tedioso, con qualche risata qua e là infastidisce proprio per la pochezza della storia e la sua rappresentazione.

Si narra di Padraic (Farrell), un uomo buono e gentile, che, da un giorno all’altro, perde la considerazione del suo più grande amico, Colm (Gleeson). Perché? “Perché non mi vai più a genio, perché sei noioso” gli risponde Colm, che non vuole più perdere tempo con lui. E Padraic cade nella paranoia per questo, dimostrandosi anche meno acuto e intelligente di quello che vorrebbe essere, perché la sua cortesia e il suo buon animo, non sono più ben accetti. Colm, che suona il violino e compone musica, è ossessionato dal tempo che passa, dalla necessità di concedersi alla sua arte per non essere dimenticato: solo la musica è eterna, dice, noi saremo tutti dimenticati. Per questo rifiuta l’amico e si rifugge nella sua arte che gli chiede un’esclusività totale, che non lascia spazio alla banalità dei sentimenti.

Il film, della durata estenuante di due ore, va avanti così, mettendo in scena una sorta di jeu de massacre fra i due ex-amici con altri personaggi minori a far da contorno, come la sorella di Padraic (Kerry Condon) e lo stupido del villaggio Dominic (Barry Keoghan) che soffre le angherie del padre poliziotto. Con la domanda di sottofondo: è Colm che sta diventando pazzo oppure è Padraric che non si rende conto di essere noioso, come uno “scolaretto che non accetta la fine di un’amicizia”?

“Nessun uomo è un’isola” scriveva il poeta John Donne perché un’isola, per sua stessa natura, è destinata a rimanere sola come una monade, scollegata dal resto del mondo. E John Donne, che per nostra fortuna non è il regista McDonagh, ci rilevava con un’immagine suggestiva che “ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto”. Cosa che invece non riescono a trasmettere i personaggi di Banshees of Inisherin chiusi nelle loro petulanti isterie.