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Maledetta Primavera e quella voglia di libertà in stile Truffaut

Maledetta Primavera e quella voglia di libertà in stile Truffaut

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Nell’adolescenza l’amore è una forza quasi senza regole, un sussulto inesplorato, un batticuori che ci porta all’esplorazione del proprio corpo e di quello, quella, che vorremmo fosse nostro. “Maledetta Primavera” cantava Loretta Goggi in un Sanremo del 1981, portando sul palco dell’Ariston la storia di una donna che si lascia andare ad una notte di passione, ma dopo il piacere c’è il pentimento, perché quella donna capisce presto di essere sentimentalmente coinvolta e si rende anche conto che il suo amore non è corrisposto. Quella “primavera” che altro non è che il “risveglio” di qualcosa, quando sboccia dentro di noi la necessità di guardare oltre al quotidiano. E questa “sospensione” viene raccontata bene nel film di Elisa Amoruso presentato al Festival del Cinema di Roma, una sorta di romanzo d’iniziazione dove è protagonista l’infatuazione tra due adolescenti, Nina e Sirley, che guardano il mondo da due punti di vista, quasi opposti, anche se poi sembrano ritrovarsi su uno stesso cammino.

Il film della Amoroso, regista romana, quarantenne, autrice anche del film doc su Chiara Ferragni, è un bel tuffo nel passato, in quegli anni Ottanta che, a torto o a ragione, sono stati definiti una decade di consumismo sfrenato, quando proliferavano le televisioni commerciali e l’Italia del pallone ci faceva sognare con i goal di Paolo Rossi. Ma qui nel film la storia è spostata leggermente avanti, nel 1989 e la giovane Nina (Emma Fasano), appena undici anni, fa fatica a crescere e di certo la sua famiglia incasinata non l’aiuto molto. Il padre Enzo, interpretato dal versatile Giampaolo Morelli, “esce sempre, ogni notte” e non si sa bene cosa combini, mentre la madre Laura, la magnifica Micaela Ramazzotti è una donna stanca, fragile, che forse sognava una vita molto diversa. Per questo i due litigano spesso e la situazione si è aggravata quando la banca si è presa la casa dove vivevano, nel centro di Roma, e adesso si ritrovano in un quartiere di periferia, fatto di palazzoni tutti uguali, ragazzi che fanno le pinne sui motorini senza casco e prati bruciati. Anche la scuola è diversa, non ci sono più le maestre ma le suore e nella nuova casa al posto del tavolo da mangiare c’è uno da biliardo. In questo nuovo paesaggio Nina conosce Sirley (Manon Bresch) che abita nel palazzo di fronte, è mulatta e balla in modo sensuale la lambada anche se ha un sogno ambizioso: interpretare la Madonna. Le due ragazzine dapprima si detestano, poi, piano piano diventano amiche, complice anche un fine settimana al Circeo, dove scatta l’attrazione e quella esplorazione dei corpi che è una specie di detonatore capace di stravolgere le loro esistenze.

È una piacevole sorpresa Maledetta Primavera, un film che racconta come spesso quando si è ancora nella fase pre adolescenziale basta poco, un incontro, un gesto, una parola, per indirizzarci verso un mondo nuovo, inesplorato e mai immaginato e che magari condizionerà tutta la nostra esistenza. Un film che ha dei rimandi, forse perché è anche una produzione italofrancese (Bibi Film e Agat Films & Cie), al cinema di François Truffaut, uno su tutti i Quattrocento colpi dove è protagonista un tredicenne, il giovane Antoine che corre verso il mare alla ricerca della libertà. Quella libertà che in “Maldetta Primavera” corrisponde al desiderio di voler crescere, spiccare il volo, nonostante tutti gli impedimenti che ci possono essere a partire dal giudizio di chi ci sta intorno. “Se per innamorarmi ancora tornerai, Maledetta Primavera” cantava la Goggi mentre il mondo cambiava e ci si rendeva conto che non sarebbe bastata più “un’ora per innamorarsi ancora”  .