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Il Sol dell’Avvenire e le nevrosi morettiane, ce le meritiamo?

Il Sol dell’Avvenire e le nevrosi morettiane, ce le meritiamo?

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Ce lo meritiamo, noi, il cinema di Nanni Moretti? Dopo aver visto il suo ultimo film Il Sol dell’Avvenire (in concorso all’imminente Festival di Cannes) che ha il merito di riportare nelle sale molti spettatori, torna in mente quella scena da Ecce Bombo quando un giovanissimo Moretti si scaglia contro i luoghi comuni – “il sono tutti uguali, rossi e neri” – e urla: “Ve lo meritate il cinema di Alberto Sordi!”. E noi, oggi, ce li meritiamo i tic e le iperboli di Moretti?

La sua ultima fatica, il suo quattordicesimo lungometraggio, non è il mitologico musical sul pasticcere trotzkista ambientato negli anni Cinquanta che molti attendono dalla scena finale di Aprile ma un racconto, a lunghi tratti autobiografico, sulla crisi umana e creativa di un regista che riesce a fare un film solo “ogni cinque anni”. È bene dirlo subito, il Sol dell’Avvenire è un ritorno alle origini per Moretti, dove Giovanni, il protagonista, non è altro che il prosieguo di Michele Apicella che i fan ricordano da Io sono un autarchico a Palombella Rossa passando per il suo film più intenso, Bianca.

Qui Giovanni-Michele Apicella è un anziano regista, sposato da quarant’anni con Paola (la sempre brava Margherita Buy) e con lei parla di tutto, di cinema, dei libri, di politica…solo che lei è stufa di questa relazione perché si parla di tutto meno che di loro due, di come stanno realmente. Giovanni, non è un uomo facile, anzi. Ha le sue nevrosi come quella dei sopralluoghi prima di girare un film (a piazza Mazzini – girata di notte in monopattino che ha preso il posto della vespa di Caro Diario – che lui arriva a paragonare alla Budapest del ’56) e i suoi riti che consistono nel vedere con la propria figlia, prima di girare una nuova opera, sempre il medesimo film Lola di Jacques Demy.

Lo fa anche questa volta prima di iniziare le riprese di un film che vede protagonisti il segretario della sezione del Partito Comunista del Quarticciolo (Silvio Orlando) e la giovane e appassionata compagna (Barbora Bobulova), accogliere un circo ungherese appena arrivato nel quartiere mentre proprio a Budapest i carri armati mandati dall’URSS mettono a tacere la rivoluzione. Come si comporteranno? Resteranno allineati al Pci o ci sarà una rivolta collettiva, popolare? Tutto questo mentre il suo matrimonio è in frantumi, la figlia si fidanzerà con un uomo ancora più anziano di lui e perfino il produttore del film verrà arrestato perché, pur giudicando “sovversivo” questo film sui fatti di Budapest, non ha un soldo per finanziare l’opera. E, forse, non ci crede più tanto neanche lo stesso Giovanni che in verità sogna di girare un film sull’evoluzione di una coppia che sta insieme da cinquant’anni attraverso l’utilizzo delle canzoni italiane, con in cima la musica di Franco Battiato.

Per quella sinistra (e non solo) che ha amato i film di Nanni Moretti, almeno fino a quelli di Caro Diario, c’è molto da cui pescare. E scene destinate a diventare cult, come quella di quando Giovanni, cercando finanziamenti per il film ha un incontro con i dirigenti di Netflix che gli bocciano la sceneggiatura per motivi di ritmo: “Manca il momento ‘what the fuck’, arriva tardi il ‘plot time’” e altri tecnicismi messi alla berlina per far capire come alla fine spesso sia tutto studiato a tavolino.

Anche quello di Moretti, però è molto studiato a tavolino. Ci sono gli ingredienti classici del suo cinema che si rivolge ancora a quei 2 milioni di comunisti (e non solo), che poi erano gli iscritti al Pci negli anni Settanta, in cui le sezioni erano delle vere e proprie comunità. Il grande problema è che quel mondo non c’è più e non solo perché il Pci non esiste più e la sinistra si sia frantumata in molti rivoli, né ancora perché oggi alla guida del Paese ci sia addirittura la destra. Il vero problema è che un ragazzo di oggi non capirebbe gli occhi furiosi e spiritati di Moretti, le sue nevrosi, i suoi sfinimenti intellettuali. Ma non perché sia inferiore a un ragazzo del secolo scorso. No, semplicemente perché non ne ha voglia. Perché il suo mondo è diverso e perché forse non si merita il cinema di Nanni Moretti.

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