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Il teatro Nō nel cuore dell’Italia: natura e tradizione per un nuovo mondo comune

Tsunao Yamai a Roma, ai Fori Imperiali - Foto di Takaya Iwasaki © 2023
Tsunao Yamai a Roma, davanti a Castel Sant’Angelo – Foto di Takaya Iwasaki © 2023

«Pioveva ininterrottamente da una settimana. Decisi di mettere in scena comunque “Hagoromo” e condividere così la mia preghiera con quella popolazione duramente colpita. Il mio desiderio era che la dea celeste scendesse sulla terra per cospargerla con i tesori della felicità. Durante lo spettacolo, il cielo s’è aperto all’improvviso ed è uscito il sole, la pioggia è cessata e il tempo è diventato splendido».

 

Tsunao Yamai a Roma, ai Fori Imperiali – Foto di Massimo Nardin © 2023

È il racconto del performer nipponico Tsunao Yamai, cinquantenne Maestro di teatro Nō che nel 2012, un anno dopo il terremoto e lo tsunami che avevano sconvolto il Giappone, mise in scena con il corpo, la maschera (realizzata quattro secoli fa) e il kimono l’opera più rappresentativa del teatro Nō, proprio nell’epicentro del disastro.

Tsunao Yamai ai Fori Imperiali – Foto di Massimo Nardin © 2023

Con il medesimo auspicio Yamai è adesso giunto in Italia, in un tour sostenuto dal produttore cinematografico internazionale Kisei Takahashi e organizzato dalla EN Corporation di Chiyomi Sakuma. L’intera trasferta è stata oggetto di fotografie e riprese per il documentario del regista Takuya Higa, assistito dall’operatore, montatore e fotografo Takaya Iwasaki.

 

Tsunao Yamai ai Fori Imperiali – Foto di Massimo Nardin © 2023

Una trasferta nel “centro Italia”, non a caso, partendo da Roma, cuore della civiltà occidentale, storico crocevia di genti e culture diverse.

 

Tsunao Yamai davanti a Castel Sant’Angelo – Foto di Massimo Nardin © 2023

Sede del Vaticano, e dunque ponte ideale per «un collegamento – come spiega Yamai stesso – tra la venerazione del divino in Europa e in Giappone».

 

E “Città eterna” ricoperta da monumenti e rovine millenarie. Con cui Yamai ha voluto confrontarsi, dialogare, lasciarsi sconvolgere… rappresentando, tra quelle eredità materiali e maestose, altri “lacerti”, immateriali e per noi lontani, i brani da lui scelti del teatro di cui è inesausto alfiere.

Un trittico d’eccezione che è cominciato con “Okina” (“antico signore”), non una storia ma una danza rituale, invocazione che apre uno spettacolo o saluta l’anno nuovo auspicando buon raccolto e pace tra le genti. Il trittico è proseguito con “Funabenkei”, opera basata sull’“Heike monogatari”, romanzo storico medievale che narra, tra l’altro, di Benkei e Yoshitsune, due valorosi guerrieri cacciati dalla capitale, i quali si trovano ad affrontare lo spirito di Taira no Tomomori, tornato per vendicarsi dopo la sconfitta subita. Apice e conclusione della rappresentazione, “Hagoromo”, di cui Yamai ha rappresentato una versione speciale abbreviata: il pescatore Hakuryō trova una stupenda veste piumata (“hagoromo”) appesa ad un ramo di pino e se ne appropria. La dea celeste che gli appare lo supplica di restituirgliela e riesce a convincerlo. Tuttavia, per riavere la veste che le consentirà di tornare nei cieli, ella deve esibirsi in una danza.

 

Tsunao Yamai davanti a Castel Sant’Angelo, a colloquio con il regista Takuya Higa e assistito dal figlio Kōta e da Kiyomi Muraoka – Foto di Massimo Nardin © 2023

In merito al rapporto con Roma, Yamai mi ha confessato: «Sono rimasto sopraffatto da questa realtà. In Giappone, i palcoscenici e le case Nō sono realizzati in legno proprio per ricordarci che ogni cosa tangibile è destinata, prima o poi, a diventare nulla. Le rovine romane che si stagliano in questi giorni davanti ai miei occhi conservano invece una presenza schiacciante. Travolgente. A me, che mi sono formato con il concetto di “nulla”, queste rovine mostrano lo splendore del mantenere una forma, la meraviglia del “resistere” e del continuare ad esistere con potere pervasivo e persuasivo».

Prima di approdare – il 12 maggio scorso – nella Sala Accademica del Pontificio Istituto di Musica Sacra di Piazza di Sant’Agostino a Roma per l’evento organizzato dall’Ambasciata del Giappone presso la Santa Sede in collaborazione con l‘Istituto Giapponese di Cultura – era dal 2017 che il Vaticano non ospitava il teatro Nō –, Yamai ha indossato i propri preziosi costumi di scena camminando nel centro storico di Roma, davanti al Pantheon, al Colosseo, al Foro Romano, a Castel Sant’Angelo

Tsunao Yamai a Perugia, nella Rocca Paolina davanti alla statua “Hagoromo” di Tayga Abe – Foto di Takaya Iwasaki © 2023

…e spostandosi poi a Perugia, nella Sala dei Notari di Palazzo Priori – eseguendo il “trittico” alla presenza dell’Assessore alla Cultura del Comune, Leonardo Varasano e nella Rocca Paolina, ov’è allestita la mostra dello scultore giapponese Tayga Abe, che a Perugia ha studiato e ora vive.

 

Tsunao Yamai nelle vesti di “Hagoromo” all’interno della Rocca Paolina: davanti a lui l’operatore, montatore e fotografo Takaya Iwasaki, dietro l’attrice e prima assistente Kiyomi Muraoka – Foto di Massimo Nardin © 2023

Dentro quelle mura cinquecentesche, in una sorta di “dialogo al cubo”, Yamai ha ridato vita a “Hagoromo” davanti all’omonima statua realizzata da Abe per l’occasione.

 

Tra Tayga Abe e Tsunao Yamai davanti alla scultura “Hagoromo” nella Rocca Paolina – Foto di Massimo Nardin © 2023
Tsunao Yamai nella Sala dei Notari di Palazzo Priori a Perugia interpreta “Hagoromo” con Kiyomi Muraoka e Kōta Yamai – Foto di Massimo Nardin © 2023

A chiudere, momentaneamente, un cerchio che chiede di rimanere aperto e fecondo, Yamai è rientrato a Roma per l’esibizione nel Pontificio Istituto di Musica Sacra, al cospetto di Akira Chiba, Ambasciatore del Giappone presso la Santa Sede, e sua moglie. Il legno del palcoscenico e della struttura che accoglie l’imponente organo hanno accompagnato il canto e i movimenti di Yamai e dei suoi discepoli, il figlio primogenito Kōta e l’attrice Kiyomi Muraoka.

Nella Sala dei Notari di Palazzo Priori a Perugia, Tsunao Yamai interpreta “Okina” – Foto di Massimo Nardin © 2023

Sono gli eredi della Scuola Komparu, quasi un millennio e mezzo di storia tramandato di generazione in generazione e sostenuto dal favore dei samurai e dal loro spirito, «vivere ogni momento della vita con tutta la forza». Quell’arte semplice, essenziale, stilizzata e potente come un haiku, nata dalla collettività e dalla preghiera per la pace, è portavoce di una fusione tra l’etica e la spiritualità più antiche.

 

La conclusione di “Okina” nella Sala dei Notari – Foto di Massimo Nardin © 2023
Sala dei Notari, da sinistra: l’Avvocato Francesco Mancino, l’ Assessore alla Cultura del Comune di Perugia Leonardo Varasano, Tayga Abe e Tsunao Yamai – Foto di Massimo Nardin © 2023
Tsunao Yamai in “Okina” a Roma, nella Sala Accademica del Pontificio Istituto di Musica Sacra di Piazza di Sant’Agostino – Foto di Massimo Nardin © 2023

«I giapponesi – ricorda Yamai –, da sempre agricoltori, hanno sviluppato un timore reverenziale verso la natura e la terra, venerate e rispettate nel profondo».

 

Nella Sala Accademica del Pontificio Istituto di Musica Sacra Tsunao Yamai interpreta “Funabenkei” con Kiyomi Muraoka – Foto di Massimo Nardin © 2023

Timore e rispetto che si concretizzano in un legame radicato e inscindibile nella vita quotidiana e sul palcoscenico: «Il teatro Nō – rivela Yamai – si distingue per il modo peculiare di muovere i piedi. Il baricentro del corpo è tenuto basso, si cammina facendo scivolare i talloni. Quest’andatura permette di restare uniti alla terra, dalla quale si riceve l’energia; parimenti, l’accompagnamento lirico nasce dall’emissione dei suoni, soprattutto i bassi, dal corpo verso la terra. I suoni e i movimenti umani evocano così, costantemente, il senso di convivenza con la natura, l’appartenenza all’ecosistema globale».

 

Nella Sala Accademica del Pontificio Istituto di Musica Sacra, Kiyomi Muraoka aiuta Tsunao Yamai ad indossare la maschera di “Hagoromo” – Foto di Massimo Nardin © 2023

Le divinità del Giappone, infatti, non stanno lassù, lontane, ma coesistono con la natura e la terra, così come i defunti, presenze invisibili ma coinvolte costantemente nella vita della collettività. L’artista – ciò che era emerso anche nel mio reportage sulla celebre “live painter” Miwa Komatsu www.ilprofumodelladolcevita.com/la-realta-virtuale-di-venezia-76-e-larte-di-miwa-komatsu-una-finestra-sullinvisibile/ e www.ilprofumodelladolcevita.com/venezia-76-vr-intervista-esclusiva-a-miwa-komatsu/ – diventa tramite tra loro e gli spettatori: «Quando saliamo sul palco – racconta Yamai –, cerchiamo di suscitare in noi stessi una condizione meditativa, svuotandoci per non pensare a nulla. Il corpo dell’artista entra in trance, mette in contatto con le persone di un’epoca passata e, poi, con gli dei».

Kiyomi Muraoka, Tsunao Yamai e Kōta Yamai nella Sala Accademica del Pontificio Istituto di Musica Sacra – Foto di Massimo Nardin © 2023

 

Al centro, Tsunao Yamai tra Akira Chiba, Ambasciatore del Giappone presso il Vaticano, e sua moglie; sulla sinistra: Stefano Mattioli con la moglie Chiyomi Sakuma; ultimo a destra, il produttore cinematografico Kisei Takahashi – Foto di Massimo Nardin © 2023

Quella perpetuata dal teatro Nō è una tradizione intimamente aperta al dialogo con le altre e, al contempo, scrupolosa conservatrice della propria specificità: «Preservare la propria identità – è il monito di Yamai, di spiccata attualità – permette di riconoscere l’esistenza di valori diversi e di rispettarli. È importante convivere e perseguire la mutua prosperità senza stigmatizzare un differente patrimonio valori».

Il “ponte ideale” tra Oriente e Occidente si concretizza nella parole con cui Yamai conclude la propria esperienza in Italia: «Il teatro Nō ricerca la profondità nella semplicità, considera le cose invisibili più importanti delle visibili, va oltre la “quantificazione logica” dei fatti. Oggi pandemia e conflitti stanno sconvolgendo la scala valoriale in tutto il mondo. L’importanza data alle cose materiali e alla crescita economica mostra tutti i propri limiti e noi cominciamo a domandarci in che cosa consista la felicità. Sono certo che il nostro messaggio, che invita la gente a vivere nella tranquillità e nel sorriso, amandosi in una natura serena e pacifica, possa favorire la diffusione di nuovi valori positivi nel mondo odierno. Ritornare alle origini, agli insegnamenti degli antenati, per rinnovare e migliorare il nostro mondo comune». Come domanderebbe ora anche a noi il Maestro Yamai, con la pungente potenza di un sole nascente: «Sono quindi giunti al vostro cuore questi messaggi?».

 

Qui di seguito il link del video “Hagoromo” realizzato da Takuya Higa:

https://www.youtube.com/watch?v=txmGmQMZd9g

 

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.