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“Siamo Solo Piatti Spaiati”: La sorprendente bellezza dell’imperfezione

La sorprendente bellezza dell’imperfezione
Siamo Solo Piatti Spaiati ci insegna non a cercare la perfezione ma ad accettare di essere imperfetti scoprendone la sorprendente bellezza.
Siamo Solo Piatti Spaiati di Alessandro Curti è un libro e un corto (produzione C1V Film e Cinzia Tocci, disponibile su Prime Video )

che vede l’esordio cinematografico di Simone Baldasseroni (Biondo, rapper di Amici) nella parte del protagonista, Davide. Un cortometraggio girato interamente a Roma, con la partecipazione straordinaria di Massimiliano Vado, che diventa strumento per ingaggiare e stimolare – attraverso le immagini – la curiosità dei ragazzi invitandoli a leggere il libro, trasformandolo in occasione di confronto con gli adulti. E’ la storia di Davide, adolescente di buona famiglia che frequenta il liceo, si diverte con gli amici ed è apparentemente felice. Una “caduta”, un evento non calcolato, stravolgerà la sua vita.
Per Davide si aprirà un mondo a lui sconosciuto, dove l’incontro con coetanei dalle vite molto diverse dalla sua e il rapporto di amore-odio con l’educatore Andrea, risveglieranno pensieri e
riflessioni che non avrebbe mai immaginato. E’ la storia di un viaggio ideale per tutti, perché è il viaggio di chi accetta di crescere e fare della propria vita, un percorso. Alessandro Curti oggi ci racconta come dalla sua esperienza di educatore, abbia sentito l’esigenza di scrivere il libro e la sceneggiatura del cortometraggio di Siamo Solo Piatti Spaiati perché potessero diventare “strumento” di confronto e dialogo.

Quanto è stato importante, decidere di raccontare questa storia in video?
E’ una delle storie che in tanti anni come educatore ho collezionato; qui le ho intrecciate e romanzate, per una storia che potrebbe essere quella di un qualunque adolescente. Racconta di un incontro che coinvolge tantissime persone e sarebbe banale ridurre a quello tra un educatore e un ragazzo. Un effetto domino, dove nessuno si può sottrarre alla “contaminazione” (parola che può dare fastidio, visto il periodo, ma che rende l’idea). Il libero arbitrio, è la forza vera, il superpotere che Davide, alla fine scopre di avere. Proprio perché ho sempre lavorato con i ragazzi, so che per agganciare la loro attenzione, le immagini possono essere di aiuto. Lavorare alla sceneggiatura mi ha dato l’occasione di mettermi ancora una volta, in relazione con i tanti aspetti, le tante sfumature del libro. Un impegno importante, ma che mi ha emozionato quando ho “riconosciuto” in Biondo, Davide. Vedere ogni interprete dare vita, alle parole del libro, ha aggiunto valore e significato.
Tutto questo è stato possibile grazie a Cinzia Tocci che ha creduto in questo progetto e che lavora con me per renderlo possibile.

Siamo Solo Piatti Spaiati è un libro che non si può mettere da parte una volta letto. I personaggi, tanti e variegati, grazie alla loro forza e al cortometraggio, richiamano la nostra attenzione. Siamo Solo Piatti Spaiati un libro e un corto, talmente “vivo” e interattivo da poter essere paragonato a un puzzle da fare e rifare mille volte?
Sì, un puzzle composto di tante tessere colorate e imperfette (proprio come Piatti Spaiati). Un puzzle perché è qualcosa che si può fare e ri-fare tante e più volte. Le tessere sono la vita, i
sentimenti, le paure dei personaggi che sono molto complessi e variegati. Sono gli incontri, fondamentali, che ci permettono di comporre il disegno e vederne la bellezza. E’ la scoperta che
insieme, nonostante l’imperfezione, si possa essere belli e più forti: una storia che ci permette di guardare attraverso gli occhi di Davide, di Reza, di Andrea. E’ importante persino la cuoca della comunità che si prende cura di ognuno di loro con le sue lasagne: che sono una carezza, una
dichiarazione di affetto (se pur istintiva e non calcolata). Quelle lasagne, che lei mette in piatti spaiati e sbeccati (imperfetti) sul tavolo della cucina, sono condite dall’amore. Attenzioni che
Davide nella sua “gabbia dorata”, probabilmente non ha mai avuto.
Quanto è stato difficile relazionarti con gli attori che interpretavano i tuoi personaggi?
Con gli attori adulti e più strutturati è stato semplice, essendo molto professionali e, per certi versi, hanno semplificato il mio lavoro. Fabio Massenzi, per esempio, nel ruolo di Andrea, mi studiava di continuo per cercare di cogliere l’essenza non del personaggio, ma della persona. Con i più giovani è stato divertente: volevano capire ogni perché, ogni ragione, in modo famelico, affamati di comprensione. Quando ho contattato Biondo, pensavo di proporgli di interpretare Simone, uno degli
adolescenti della comunità. Quando ci siamo incontrati e ha letto il copione, ho capito che invece era Davide, il mio protagonista. Era curioso, era dentro il personaggio. Anche l’attore che ha
interpretato Reza, mi ha stupito perché, la prima volta che l’ho visto mi è sembrato lontanissimo dal personaggio che volevo interpretasse, eppure, è diventato proprio lui. E’ stata un’esperienza arricchente anche per me, perché lavorandoci insieme, ne abbiamo evidenziate ulteriori sfumature.
Anche per me è stato smontare e rimontare il puzzle, ancora una contaminazione.
Qual è la forza vincente di Andrea?
L’autenticità, infatti, la figura di Andrea è ben nitida, ma di volta in volta nelle relazioni con i ragazzi, smorza o amplifica le sue caratteristiche adattandosi alle diverse situazioni. Lui, nonostante
sia un veicolo educativo, non ha reazioni da manuale, ma quando è felice è sinceramente felice, lo stesso se si arrabbia. Per aprire le serrature più chiuse degli adolescenti, è fondamentale essere
sinceri nell’esprimere le proprie emozioni ( loro sono bravissimi a fiutare la finzione, la mancanza di sincerità). Il trucco è mostrare l’emozione e ricostruirla sulla base del ragazzo che hai davanti,
usandola in modo consapevole. Andrea è l’educatore che avrei voluto essere e al quale mi sono sempre ispirato: sa sostenere, non giudica, non finge di essere un amico, ma allo stesso tempo non si allontana, lasciando però spazio, per esercitare il libero arbitrio, di sperimentarlo. Ricomporre il puzzle, quando tutto sembra essere andato in pezzi, come fa Davide, è fondamentale. In comunità c’è chi ti può aiutare, chi può intervenire se necessario; diventa quindi una “palestra” dove esercitarsi. Una volta fuori, invece, nonostante la paura di sbagliare s’impara a fare da soli, con consapevolezza.
Quanto è importante, secondo te, parlare senza pregiudizi, di cadute, d’inciampi, di dubbi, con i ragazzi?
Il pregiudizio è un “muro” con il quale ci si difende dall’altro. Per riuscire a relazionarsi, entrare nel mondo degli adolescenti è fondamentale, mettere da parte le parole e essere d’esempio. Davide nel romanzo parte con tantissimi pregiudizi, ha paura di essere identificato come uno che fa parte di una comunità perché sa bene come sono additati. Sono considerati quelli che “spacciano”, dei mezzi delinquenti, degli scarti della società. In ogni relazione, dovremmo poter guardare alla persona che
abbiamo davanti senza difenderci con inutili pregiudizi, ma vivere l’incontro come un’occasione vera per guardare il mondo da un altro punto di vista. Quella che per Davide è sembrata “la fine di
tutto” è in realtà la sua ri-nascita. Un’ occasione per diventare non un altro, ma se stesso in altro modo.
Cosa ti piacerebbe poter fare ancora con Siamo Solo Piatti Spaiati?

Mi piacerebbe portarlo nelle scuole, nei gruppi, per incontrare i ragazzi e con questo “puzzle” dibattere, confrontarsi. Mi piacerebbe davvero che diventasse strumento per scardinare, aprire le porte dell’indifferenza, dei pregiudizi, delle separazioni. Parlare è fondamentale per capire che non si è “sbagliati” solo perché si sbaglia. La caduta, i problemi ci trovano sempre anche quando non li cerchiamo. Noi adulti troppo spesso, crediamo che non facendo mancare nulla ai nostri figli, possano essere “immuni” da qualunque brutta esperienza, ma non è così. Nel corto, Andrea dice: “Siamo umani, ma è ciò che facciamo dopo l’errore che ci qualifica”. Siamo Solo Piatti Spaiati è un inno alla diversità, è una “tavola” apparecchiata con tanti colori, per una società che non s’identifica in un servizio fatto in serie (quarantotto pezzi qualunque), ma nella meravigliosa e
poliedrica varietà di uomini e donne che, insieme, esaltano l’uno le qualità dell’altro perché siamo tutti imperfetti.