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Il miglior attore di Venezia 80 è Peter Sarsgaard con “Memory” di Michel Franco

Il miglior attore di Venezia 80 è Peter Sarsgaard con “Memory” di Michel Franco

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La Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile dell’ottantesima Mostra d’Arte Cinematografica Internazionale di Venezia è stata assegnata ieri, durante la cerimonia di premiazione finale, a Peter Sarsgaard, protagonista di “Memory” di Michel Franco. L’attore, salito sul palco, ha dichiarato di essere solidale con i colleghi impegnati nello sciopero hollywoodiano e dunque assenti dal Lido. La presenza sua e di Jessica Chastain è stata possibile per il carattere indipendente della produzione di Michel Franco.

 

 

Momenti della conferenza stampa di “Memory” a Venezia 80 (Foto di Massimo Nardin)

 

 

In una New York dei giorni nostri, Sylvia (una Chastain tesa e potente) ha una figlia quindicenne. Gli abusi subiti in passato e l’alcolismo sopravvenuto successivamente l’hanno allontanata dalla propria famiglia di origine ispessendo il suo carattere solitario. Oggi però è una donna nuova, ha chiuso con l’alcool completando il percorso negli alcolisti anonimi, lavora quotidianamente in un centro di assistenza, è una madre esemplare ed ha stretto i rapporti con la sorella e la sua famiglia .
Una sera un uomo misterioso comincia a seguirla, lei si rifugia in casa e la mattina dopo lo trova privo di sensi disteso sul marciapiede sotto casa: ha dormito là tutta la notte.
Quell’uomo è Saul (un commovente Peter Sarsgaard) ed è affetto da demenza senile. Tra i due nasce un rapporto particolare, forse un amore… impossibile.

 

 

Conclusione della conferenza stampa di “Memory” a Venezia 80 (Foto di Massimo Nardin)

 

 

Michel Franco è attento indagatore degli opposti, situazioni limite che, messe l’una in attrito con l’altra, generano squarci di senso inattesi. Qui c’è un baricentro che tiene insieme i personaggi e che viene indagato nelle sue sfaccettature semantiche e implicazioni sociali ed identitarie: la memoria. Memoria come risorsa imprescindibile, possibilità unica di mantenere e irrobustire la propria identità nel continuo confronto con l’alterità; memoria come peso, stigma, limite, memoria come ricettacolo di eventi da cui si può lottare anche
un’intera vita, per liberarsene; memoria come capricciosa costruzione personale, “personalizzata”, supporto quindi inaffidabile, cangiante, appiglio nel breve termine e oceano in cui affogare nel lungo…
Franco ragiona e magnifica la riflessione su quest’ultimo versante, sulla perdita della memoria o comunque sulla presa di distanza dalla sua dittatoriale pervasività. Per Sylvia e Saul l’amore si può sviluppare, appunto, soltanto negli interstizi di una reciproca sospensione della memoria, quando le identità tornano al grado zero della possibilità e i corpi levitano liberi dal peso di ogni condizionamento e travisamento. È quello, forse, il momento in cui un partner riconosce l’altro per la sua essenza, per quello che realmente è, oggetto e soggetto di amore puro, senza finalità, senza fantasia né invenzione, senza diramazioni verso il passato né aperture o attese verso il futuro. Amore totale, amore assoluto, qui ed ora, brevissimo ed eterno insieme.
L’amore vissuto da Sylvia e Saul non è forse l’aspirazione di ognuno di noi?

 

 

Con Peter Sarsgaard e Michel Franco alla Cerimonia di premiazione di Venezia 80 (Foto di Massimo Nardin)

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