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“L’ultima volta che siamo stati bambini”, la prima regia di Claudio Bisio tra ironia e guerra

“L’ultima volta che siamo stati bambini”, la prima regia di Claudio Bisio tra ironia e guerra

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Sono passati ottant’anni da quel 16 ottobre 1943 quando si registrò a Roma il rastrellamento del ghetto con la deportazione degli ebrei da parte dei tedeschi e con la complicità dei soldati fascisti. Ottant’anni che sono ancora presenti nella mente di chi è riuscito a sopravvivere a quel viaggio senza speranza e che costò la vita anche a 281 bambini. E proprio questi ultimi sono la voce narrante del primo film che vede alla regia Claudio Bisio che si è letteralmente innamorato di un libro “L’ultima volta che siamo stati bambini” scritto da Fabio Bartolomei (Edizioni e/o) al punto da cercare in tutti i modi di trasportare le emozioni sul grande scherzo. Un film che esce il 12 ottobre grazie all’impegno di Solea, Bartlebyfilm e Medusa e che è stato presentato alla stampa in anteprima al cinema Adriano.

È la storia di quattro bambini che giocano a fare la guerra mentre attorno a loro si combatte un conflitto vero. Il primo è Italo, figlio del Federale con un fratello eroe di guerra, poi c’è Cosimo che ha il papà sbattuto al confino per via di una imprecazione contro Mussolini, quindi Vanda, una bambina abbandonata alle suore e molto credente e, infine, Riccardo, figlio di commercianti ebrei.

Sono diversi e tra loro nasce “la più grande amicizia del mondo”, sancita da un vero patto “con lo sputo”. Per loro tutto è gioco ma quando il 16 ottobre il ragazzino ebreo viene portato via dai tedeschi insieme ad oltre mille persone del ghetto, i tre amici decidono di partire in segreto per convincere i tedeschi a liberare il loro amico. Così l’ennesima missione fantasiosa entra nella realtà, i tre bambini viaggiano soli in un’Italia stremata dalla guerra, fra soldati allo sbando, disertori, truppe di tedeschi occupanti, popolazioni provate e affamate. I tre bambini non sono del tutto soli, due adulti partono a cercarli per riportarli a casa: Agnese, suora dell’orfanotrofio in cui vive Vanda, e Vittorio, il fratello di Italo. Lei cristianamente odia la violenza e lui è un eroe di guerra fascista: sono diversi e, al contrario dei bambini, lo sanno benissimo, infatti litigano tutto il tempo. Il doppio viaggio dei bambini e degli adulti nell’Italia lacerata dalla guerra sarà gioco e terrore, poesia fanciullesca e privazioni, scoperta della vita e rischi di morte.

Alla prima prova di regia Bisio ha scelto sicuramente un film non facile, oggi forse i “nuovi ebrei”, quelli che vengono deportati e trattati non come essere umani, sono i migranti che vengono sulle nostre coste dopo viaggi infiniti spinti dalla disperazione e dal desiderio di costruire una nuova vita. Un futuro diverso rispetto alle guerre e alla fame.

La storia merita di essere raccontata e vista perché con leggerezza e anche un tocco di ironia Claudio Bisio è riuscito a rendere più che mai attuale il messaggio del film che va oltre l’amicizia e la fratellanza.

“Devo ammettere che esordire con una storia ambientata negli anni Quaranta, durante la guerra, con protagonisti dei bambini che attraversano l’Italia a piedi (e come mascotte portano con sé una gallina) – ha detto Bisio – non è stata la scelta più facile. Ma grazie alla collaborazione di tutte le persone sul set siamo riusciti a superare le difficoltà di galline che non volevano stare ferme, treni che non partivano e bambini che dopo un tot di ore, giustamente, volevano “riposarsi” giocando a pallone”.

A lui e all’intero staff sono arrivati i complimenti della senatrice a vita, Liliana Segre: “Ho molto apprezzato il film perché Claudio hai saputo rendere la freschezza e l’innocenza dei bambini con un tratto talmente sensibile da offuscare la tragedia che c’è sullo sfondo”.

Già perché se la “guerra vista con gli occhi dei bambini” sembra meno cruenta è pur sempre un dramma nel dramma perché alla fine di questo viaggio nessuno tornerà uguale a come era partito, e qualcuno, purtroppo, non riuscirà proprio a tornare.

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