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A “Quarto Grado” l’approfondimento con Pietro Olrlandi sul ritrovamento delle ossa

Quarto grado, in studio Pietro Orlandi

A “Quarto Grado” l’approfondimento con Pietro Olrlandi sul ritrovamento delle ossa.  “Quarto Grado”, il programma a cura di Siria Magri, condotto da Gianluigi Nuzzi, torna ad occuparsi del ritrovamento di ossa umane all’interno della Nunziatura apostolica di Via Po, a Roma. Lo sconcertante episodio è stato messo in relazione alla scomparsa di Emanuela Orlandi. A quanto si apprende la famglia Orlandi avrebbe nominato un super perito di parte, Giorgio Portera, autore delle indagini su Ignoto 1 che hanno portato poi a individuare Massimo Bossetti. Dalle prime indagini è emerso che le ossa sepolte sotto il pavimento della dependance della Nunziatura apostolica apparterrebbero a due persone ma non se ne conosce ancora il sesso, né l’età. Analizzando i frammenti, una settantina circa tra cui parti di un bacino e di una vertebra, gli esperti avrebbero accertato che alcuni presentano un ‘invecchiamento’ maggiore di altri. Sarà solo attraverso l’esame del DNA a chiarire definitivmente l’appartenenza dei poveri resti.

Per approfondire l’intricata e torbida vicenda è presente in studio Pietro Orlandi, fratello della ragazza sparita nel nulla il 22 giugno 1983. A distanza di 35 anni, il mistero della scomparsa di Emanuela potrebbe essere risolto. Molti i dubbi e le accuse del fratelli Pietro che, in un’intervista rilasciata a Radio Campus, si è detto sorpreso che a dare la notizia del ritrovamento delle ossa e ad associarle proprio a Emanuela sia stato il Vaticano. Secondo Pietro Orlandi, Papa Francesco e Papa Razznger sanno cosa le sia accaduto. Accuse pesanti, basate su una frase che Papa Francesco avrebbe etto a Pietro nel corso di un incntro: “Emanuela sta in cielo…”.

Per sapere con certezza a chi appartengano le ossa, è necessario attendere ancora qualche giorno. “Quarto Grado” spiega al pubblico – passo per passo – il procedimento delle analisi che porteranno alle risposte tanto attese.

Di seguito alcuni stralci dell’ntervista a Pietro Olandi, andata in onda lo scorso 2 novembre (in copertina il video)

La notizia del ritrovamento delle ossa sotto la Nunziatura Vaticana ha un filo rosso con questa trattativa tra alcuni monsignori del Vaticano e la Procura di Roma?

«È il primo pensiero che mi è venuto… perché la realtà è stata molto meno poetica di come l’ha rappresentata Faenza (regista de ‘La Verità sta in cielo’, film sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, ndr), che l’ha illustrata molto bene. Quando in Vaticano è stato convocato Giancarlo Capaldo (il magistrato che si occupava dell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, ndr) gli hanno chiesto due favori: uno, che fosse la magistratura a togliere De Pedis (boss della Banda della Magliana, accusato di essere coinvolto nel sequestro di Emanuela Orlandi, ndr) da Sant’Apollinare (la basilica dove è sepolto De Pedis, ndr); due, un aiuto per risolvere la questione di Emanuela, trovando una verità di comodo che facesse il minor danno possibile alla Santa Sede. Per questo erano disposti a dare un fascicolo con i nomi di persone che avevano avuto un ruolo in questa vicenda. Ma fino ad un certo livello: perché oltre non si poteva andare. Il magistrato, però, disse che la famiglia di Emanuela, più che i responsabili, voleva sapere se Emanuela era viva o era morta. E, se morta, avere la possibilità di ritrovare il corpo. Gli è stato risposto: “va bene”. E questa è una cosa allucinante: in Vaticano gli hanno risposto “va bene”».

 

Tu eri presente a questo incontro tra Capaldo e alcuni esponenti del Vaticano?

«No, però ho parlato a lungo con Capaldo, che ho conosciuto molto bene, e mi raccontato queste cose. Capaldo non è un mio amico: era il magistrato che si occupava dell’inchiesta e vice capo della Procura. Non posso non credere a quello che mi ha detto».

 

In Procura a Roma, pensano che il tuo sia un discorso un po’ inventato…

«È normale, ma io non credo sia inventato. Anche perché, in Vaticano, non hanno negato questo incontro. Io e l’avvocato Laura Sgrò abbiamo chiesto tantissime volte delle risposte, per sapere chi era quell’alto prelato che ha parlato con Capaldo. Il problema principale è stato che quando Capaldo non ha avuto più risposte, ha rilasciato una dichiarazione pubblica, che all’epoca, era il 2012, mi aveva colpito tantissimo. Diceva che c’erano delle personalità, in Vaticano, che erano a conoscenza di quello che era accaduto. Ma, per quanto riguarda l’apertura della tomba (di De Pedis, ndr), al momento non lo riteneva opportuno. Era un segnale che mandava a loro, come a dire, ‘voi mi avete fatto un’offerta, mi avete promesso un fascicolo in cambio di qualcosa, ma io quel fascicolo non l’ho mai avuto’. Il giorno stesso è intervenuto il nuovo Capo della Procura di Roma, il dottor Pignatone, che si è dissociato da quella dichiarazione e ha tolto l’inchiesta a Capaldo. E l’ha fatto semplicemente per portarla all’archiviazione. E così è stato. Poi ho letto un’intercettazione, che ho ritenuto molto importante, tra la moglie di Enrico De Pedis, Carla Di Giovanni, e uno degli indagati, il monsignor Vergari: in quei giorni lui era preoccupatissimo perché stavano aprendo la tomba di De Pedis. E in questa intercettazione, che è molto dura, la Di Giovanni diceva “meno male che adesso è arrivato il nostro procuratore… ci penserà lui a far tacere Orlandi. Già ha fatto fuori Capaldo e il capo della mobile… e ha promesso ai miei avvocati che lui archivierà tutto”. Credo che non ci siano parole da aggiungere».

Sono accuse che tu stai rivolgendo al Procurato Capo Pignatone e te ne assumi la responsabilità.

«Quelle intercettazioni sono agli atti in Procura. Sono anche a sua disposizione. Io ho riportato solo un’intercettazione. E poi ho visto gli avvocati di De Pedis: li ho visti che sono andati da Pignatone. Perché il giorno che sono andato da Pignatone, loro uscivano. Ci sono stati sicuramente. Mi sono stupito che quando è uscita la notizia dell’incontro di Capaldo in Vaticano, Pignatone non abbia convocato lo stesso Capaldo per chiedergli cosa fosse quella storia. Secondo me, sarebbe stato suo dovere».

Che incontri avete avuto con le autorità Vaticano per cercare la verità?

«Ho bussato continuamente a tutte le porte possibili. E ho avuto anche delle risposte. Ho incontrato il segretario di Stato, che è stato molto disponibile. Insieme all’avvocato abbiamo presentato tante istanze per cercare risposte e ci sono stati una serie di incontri. Questa collaborazione speravo potesse iniziare e, forse, sta iniziando. Ma sono rimasto stupito da molte cose: ad esempio, 15 giorni dopo la sua elezione, ho incontrato Papa Francesco che seccamente mi ha detto “Emanuela sta in cielo”. E se lui mi ha detto questa frase, con l’inchiesta ancora aperta, vuol dire che sa qualcosa più di noi. E da quel momento, il muro si è alzato ancora più di prima. E quando io ho incontrato il segretario di Stato, persona molto sensibile a questa storia, e gli ho chiesto se aveva parlato con Papa Francesco, lui mi ha detto che da parte del Papa, su questa storia, c’è chiusura totale. Quindi, anche lui, come me, pensa che dietro questa vicenda c’è un peso così importante per l’immagine della Chiesa, che non si riesce a far emergere la verità. Lui, allargando le braccia, mi ha detto che è una ‘situazione molto complicata’. Ma questo lo sapevo, altrimenti non sarebbe durata 35 anni».

Hai avuto incontri più recenti in Vaticano?

«Anche da parte della Gendarmeria c’è disponibilità. Ho incontrato delle persone che sembrano disponibili ad arrivare a una verità. Io, come ho detto recentemente, anche al cardinale Parolin, penso sia importante anche per la Santa Sede arrivare a una verità.Qualunque essa sia. Perché questo loro comportamento, non fa altro che aumentare i dubbi da parte dell’opinione pubblica».

Pensi che Villa Giorgin sia la risposta a questa apertura?

«In questo ultimo periodo, io e l’avvocato abbiamo cercato di fare indagini per conto nostro. Abbiamo preso informazioni e, nell’istanza che abbiamo presentato, abbiamo avuto delle segnalazioni da alcune fonti importanti su un luogo dove poteva essere sepolto il corpo di Emanuela: che però è all’interno delle mura. Per questo la notizia mi ha colpito fino a un certo punto. Mi ha colpito il fatto che stavano facendo una cosa senza avvisarci. Poi ho saputo che si trattava di un altro luogo».

Qual è questo luogo che ti hanno indicato?

«É dentro le mura, ma su questo luogo vorrei ancora delle risposte. Spero che arrivino il prima possibile».

Pochi minuti dopo il termine dell’intervista ad Orlandi, ha chiesto e ottenuto di intervenire telefonicamente Maurilio Prioreschi, l’avvocato di Renatino De Pedis, boss dell’organizzazione criminale romana della Banda della Magliana, figura più volte coinvolta nel caso Orlandi.

De Pedis morì a Roma il 2 febbraio 1990 e venne sepolto nella cripta della Basilica di Sant’Apollinare, dove rimase per qualche anno. Fino a quando le polemiche esplose in seguito alla diffusione di tale notizia, spinsero la famiglia ad autorizzarne la traslazione.

Prioreschi: «Una precisazione sulle affermazioni di Pietro Orlandi: nell’intercettazione alla quale lui fa riferimento, la signora De Pedis non ha detto quello che Orlandi ha riferito. Era un’intercettazione fatta nello stesso giorno in cui è stata aperta la tomba. La signora manifestava la sua liberazione… perché questa storia dell’apertura della tomba, da noi è sempre stata sollecitata in Procura. È vero che quel giorno, io e Pietro Orlandi ci siamo incontrati in Procura… nell’anticamera del dottor Pignatone, Procuratore della Repubblica di Roma. A me Pignatone non ha mai garantito l’archiviazione del procedimento. Io sono andato da Pignatone per un motivo ben preciso. E dico una cosa che sappiamo io, Pignatone e nessun altro: il giorno prima della mia visita a Pignatone, ho ricevuto una telefonata dal capo della gendarmeria Vaticana, che all’epoca era Domenico Giani, il quale mi aveva proposto di spostare in gran segreto la salma di De Pedis da Sant’Apollinare, a spese del Vaticano. Perché, per loro, era diventata una presenza ingombrante. Noi avremmo dovuto spostarla, di nostra iniziativa, e loro avrebbero pagato le spese: tutto sarebbe dovuto avvenire in maniera estremamente riservata».

«Io dissi – ha proseguito il legale – al dottor Giani che sarei andato immediatamente dal dottor Pignatone a riferire questa circostanza, perché non mi sembrava una cosa corretta, nel momento in cui c’erano le indagini in corso sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Quindi ho chiesto un appuntamento al dottor Pignatone, che mi ha accordato subito: gli ho riferito la circostanza e, in quel frangente, ho incrociato Pietro Orlandi nell’anticamera. A Pignatone, per l’ennesima volta, ho detto quello che avevo detto già più volte anche al magistrato Capaldo: che la famiglia De Pedis era disponibilissima a spostare la salma da Sant’Apollinare. Non ci sarebbe stato nessun problema. Pignatone mi rispose che avrebbe valutato questa disponibilità della famiglia De Pedis a spostare la tomba e poi mi avrebbe fatto sapere».

Alla domanda di Gianluigi Nuzzi sulla apparente “sicurezza”, mostrata nella suddetta intercettazione della vedova De Pedis, in merito a una possibile archiviazione, Prioreschi ha commentato: «Non era una sicurezza, ma l’auspicio di una donna che da dieci anni sentiva il peso di questa vicenda. Era solo la speranza di mettere una pietra sopra a questa storia». A questo punto è nuovamente intervenuto Pietro Orlandi, il quale ha spiegato: «Io non ho inventato quella frase: ho letto le intercettazioni. Dice chiaramente: “Pignatone ha assicurato ai miei avvocati che tanto lui archivia tutto”. E la frase che mi ha colpito è stata: “meno male che è arrivato il Procuratore nostro… ci penserà lui a far tacere Orlandi. Ha già fatto fuori Capaldo e il capo della mobile”. Sono contento che l’avvocato abbia riferito le parole di Giani, perché io so, e quello me l’ha detto Carla Di Giovanni, la moglie di De Pedis, che lei è stata contattata anche dal vice comandante della gendarmeria, che le aveva fatto lo stesso tipo di offerta».

Su questo punto, Prioreschi ha replicato: «Siccome i legali di De Pedis siamo io e il mio collega di Studio Radogna, le posso garantire che il dottor Pignatone non ha mai garantito nulla, né poteva farlo. Le intercettazioni sono uno strumento particolare: si dicono tante cose. Quella era una speranza, e non una garazia, che nessuno poteva dare. La volontà della famiglia di spostare la tomba l’abbiamo manifestata dal giorno dopo della famosa telefonata ad una trasmissione televisiva, nel 2005. Peraltro, l’indagine sulla scomparsa di Emanuela Orlandi ha smentito che ci sia stata quella telefonata. Noi, dal 2005, siamo andati dal dottor De Gasperis, ai tempi titolare dell’indagine, e la volontà di spostare la tomba più volte l’abbiamo data anche al dottor Capaldo. Il quale ci ha sempre detto: “spostatela voi, noi non ci opponiamo”. Io però dissi a Capaldo: “le pare che spostiamo la tomba senza dire a nessuno? Così il giorno dopo tutti dicono che ho fatto sparire le ossa di Emanuela Orlandi”».