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Il barcone di migranti affondato l’11 ottobre 2013. Alle Iene parla Mohanad Jammo

Le Iene, Willie Coyote
Le Iene Show

La tragedia del barcone di migranti che affondò nel Mediterraneo l’11 ottobre 2013, è uno dei servizi che andrà in onda domni, 14 maggio a “Le Iene Show”. Una tragedia che si poteva evitare? Dall’intervista al medico siriano, Mohanad Jammo, che perse due figli, sembra emergere una verità sconvolgente: la tragedia poteva essere evitata. DI chi saranno le responsabilità?  Roberta Rei si reca in Germania per intervistare Mohanad Jammo, il medico siriano che si trovava a bordo del peschereccio affondato nel Mediterraneo l’11 ottobre 2013, naufragio nel quale persero la vita 268 persone. Tra queste, i due figli dell’uomo, uno di 6 anni e l’altro di 9 mesi. Fu il dottor Jammo a telefonare più volte alla Guardia Costiera italiana chiedendo aiuto perché il barcone, crivellato dai colpi di mitra dei miliziani, stava imbarcando acqua. L’audio delle chiamate è stato diffuso recentemente dai media italiani, riaccendendo i riflettori su questa tragedia.
Nelle telefonate, la sala operativa della Guardia Costiera italiana indicava al medico di chiamare Malta per i soccorsi. Le Forze armate maltesi, al contrario, avrebbero richiesto alle autorità italiane di far intervenire la Nave Libra, pattugliatore della Marina Militare, che si sarebbe trovata a poche miglia dal barcone. Dopo più di cinque ore di attesa, il barcone s’inabissò.
Indignato per il ritardo dei soccorsi, il medico – ai microfoni della Iena – dichiara: «Io chiamavo l’Italia perché distava meno della metà rispetto a Malta. Quando la dipendente mi ha detto “chiama Malta”, non avevo altra scelta. Ma io l’ho trovata una cosa molto strana. […] Quando siamo affondati, eravamo ancora più vicini a Lampedusa e ancora più distanti da Malta. Io non sapevo che c’era una nave, ferma, che distava da noi solo 18 chilometri. Questa è una cosa che ho saputo dopo».

Matteo Viviani racconta la macabra “pratica” che si sta diffondendo tra i più giovani in Russia, la “Blue Whale”. Attualmente oggetto di indagini da parte della polizia russa, questo “gioco” estremo – che recluta i suoi adepti tramite il web – avrebbe portato al suicidio circa 150 adolescenti in pochi mesi.
Si tratterebbe di una “sfida” lunga 50 giorni. I partecipanti sarebbero chiamati ad affrontare alcune prove quotidiane, come guardare film dell’orrore per una giornata intera, ascoltare musica triste, svegliarsi alle 4.20 del mattino e persino incidersi una balena sulla pelle con una lama. Questo percorso si concluderebbe con un’ultima richiesta: trovare l’edificio più alto della città e gettarsi nel vuoto.
La Iena si reca a Mosca per intervistare alcuni famigliari delle vittime della “Blue Whale”.
Alcuni casi simili sarebbero stati riscontrati anche in Francia, Spagna, Inghilterra e Brasile. Esiste il rischio che questa pericolosa “moda” arrivi anche in Italia?

Intervista singola al celebre allenatore – attualmente tecnico del Pescara – Zdeněk Zeman che, lo scorso 12 maggio, ha compiuto il suo 70° compleanno.