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“Mission: Impossible. Dead Reckoning – Parte uno”. Digitale ipertrofico con cuore analogico

La locandina del film (https://www.missionimpossible.com/)

Presentato il 5 luglio scorso in anteprima stampa al The Space Cinema Moderno di Roma e in uscita oggi nelle nostre sale, “Mission: Impossible. Dead Reckoning – Parte uno”, settimo capitolo della saga di Ethan Hunt.

In un prologo ambientato nelle gelide profondità del Mare di Bering, un sottomarino sovietico lancia un siluro contro quello che crede essere un nemico. Ma quest’ultimo, nella realtà, non esiste, e nemmeno le sue torpedini. Ad esistere, invece, e ad essere deviato verso la sua stessa fonte, è il siluro del sottomarino sovietico, il cui controllo è stato nel frattempo preso dalla medesima, misteriosa intelligenza artificiale che aveva disegnato sui radar l’immagine antagonista, un virus invisibile che s’è impossessato dei sistemi di controllo del sottomarino così come rischia di fare a poco a poco con quelli del mondo intero…
Ed è una sorta di minaccia fantasma che si palesa da dietro le quinte anche l’Ethan Hunt pronto a ricevere – stavolta da un ignaro fattorino – l’immarcescibile audiocassetta che “si autodistruggerà” assieme al messaggio di cui è portatrice. Piccola esplosione che, dopo mezz’ora esatta di film, farà scattare i pirotecnici titoli di testa. Ai quali seguirà… un inseguimento senza sosta e con obiettivi cangianti al pari di quell’invisibile sottomarino nemico. Sì perché la meta ultima, scopriremo, sarà proprio il luogo da cui tutto ha avuto inizio, il sottomarino rimasto sotto i ghiacci, “serratura” di un pericolo globale, ossia il contagio della rete informatica dell’intero pianeta da parte di un’intelligenza artificiale avanzata, senziente e vorace. Intercapedini tra quella serratura e Hunt, il cattivo Gabriel e un ciondolo, una piccola croce metallica divisa in due. Due metà anch’esse difficili da individuare, ché oggetto di copie fallaci che possono entrare in possesso dei buoni come dei cattivi, a loro insaputa. Accanto a Hunt, eroe di tutta la saga “M:I”, i fidati Benji e Luther (quest’ultimo unica compresenza fissa sin dal primo capitolo), la ritrovata amica Ilsa Faust (recuperata nella sua missione in Medio Oriente e detentrice della prima metà della chiavetta) e una ladra che diverrà complice, Grace. Sul fragile confine tra bene e male ricompariranno la Vedova Bianca e il Kittridge del “M:I” capostipite, quello diretto da Brian De Palma ormai quasi trent’anni fa. Contro tutti, la longa manus dell’Entità, ovvero la glaciale Paris e l’impenetrabile Gabriel, il nemico storico di Hunt finora mai apparso nella saga, colui dal quale si dice ora essere dipesa la scelta dell’eroe di entrare nell’IMF di Kittridge e compagni. Tra miraggi e scoperte, apparizioni e sparizioni della chiavetta, mascheramenti e smascheramenti dei volti, l’azione si sposterà da Dubai a Roma, da Venezia vecchia alle Alpi austriache, transitando per aeroporti messi in crisi, al contempo, dall’intelligenza artificiale dell’Entità e da quella umana di Hunt e colleghi, centri storici percorsi e percossi dagli immancabili inseguimenti automobilistici e treni d’epoca – a loro modo fantasma – che attraversano tunnel, vallate e ponti minati…

La rodata coppia Cruise-McQuarrie (attore-produttore e sceneggiatore-regista-produttore) prosegue l’operazione di bulimica rivisitazione ironica concretizzatasi in “Top Gun: Maverick” e nei due precedenti capitoli di “M:I”. Nonostante il budget monstre (quasi trecento milioni di dollari) e la durata altrettanto monstre (due capitoli per quasi sei ore complessive di film, una vera e propria miniserie), pare che nulla di nuovo possa essere più ideato. Tutto, semmai, può essere ripreso, riambientato, ridefinito, espanso appunto. Ecco quindi il sottomarino, l’aeroporto, la bomba a orologeria, le corse a piedi, in auto, sul tetto del treno… Il treno, soprattutto, luogo di scambio e scambi esattamente come nel primo capitolo. Ma sono tutte le scene a rimandare, financo letteralmente, a qualche predecessore, non necessariamente di stirpe “M:I”, ché ci sono le “altre saghe”, “007” e “Fast & Furious” in testa, ma anche le “sospensioni gravitazionali” di scuola nolaniana…

Esai Morales, “Gabriel” (https://www.abc10.com/video/news/raw-video/esai-morales-mission-impossible-dead-reckoning-interview/103-e4621711-112f-462e-bdc1-c2f6382d0818)


Come in “Maverick”, Cruise gioca con se stesso e il proprio glorioso passato (ch’è sempre presente, dunque: immortale). Eliminando sul nascere potenziali rivali maschili: i due amici sono (ormai) dei freaks, Kittridge non fa testo (ma solo memoria) e il villain è un opaco coetaneo di Cruise, quasi un ologramma evanescente che ricorda un “altro Cruise” anch’egli sale, pepe e barbetta, il protagonista del manniano “Collateral”. La bellezza attorno al divo non può pertanto che essere incarnata dalle sole donne, tutte dal fascino magnetico ma dalla durata breve. Forte di un tale impianto inattaccabile, Cruise si concede le trovate ironiche che ce lo fanno continuare ad amare: l’inseguimento sbilenco con la moto, ma soprattutto quella vetusta Cinquecento gialla che sbuca da dietro la supercar che credevamo destinata al supereroe. Una Cinquecento, in linea con lo “Stellantis placement” caro anche a Bond, nella quale sono incastrati (ammanettati) Ethan e Grace la ladra redenta, tra futuristiche sgommate in stile “Automan” e “F&F” e imperizie da neopatentati.

Vanessa Kirby, la “Vedova Bianca” (https://missionimpossible.fandom.com/wiki/White_Widow)


Quella simpatica Cinquecento rivisitata, d’altronde, rimanda direttamente al messaggio del film. Il digitale s’integra con l’analogico, a cominciare dalla vicenda narrata, in cui i cosiddetti sistemi “obsoleti” sono da preferire a quelli più avanzati perché inattaccabili dal virus nonostante i loro arcinoti difetti. Come il volto di Cruise percosso dal vento, anche i sistemi analogici resistono all’urto informatico nonostante le imprecisioni, fragilità e lentezze di cui sono portatori. D’altronde, è la “mission” del titolo stesso, “Dead Reckoning”: espressione che richiama la “morte” e la “resa dei conti”, ma, nel gergo della navigazione, indica propriamente il calcolo della “posizione stimata” di una nave o di un aereo eseguito utilizzando solamente informazioni “interne”, quelle sulla direzione e la distanza percorsa da un punto noto (“dead” si riferirebbe infatti all’oggetto “fermo” adoperato per la misurazione), nella consapevolezza degli inevitabili errori progressivi e tuttavia senza ricorrere alle “esterne” correzioni astrali o satellitari. È il modus operandi che è costretto a seguire, in primis, Hunt. Quasi il monito del titolo e della missione fosse: per quanto capriccioso e fallace, segui il tuo cuore, l’istinto prima della tecnologia. E il passato,
qui inventato ad hoc e “appiccicato” nei frammenti elementari di una sensuale e inerme Marie (Mariela Garriga) assassinata dal cattivo in un “prima dell’incipit” che si fa ritornello delle prese di coscienza del protagonista.

Mariela Garriga (“Marie”) alla presentazione del film in Piazza di Spagna (https://facinema.com/mariela-garriga-mission-impossible-dead-reckoning-part-one-premiere-in-rome/)


Ora sorprendente e adrenalinico, ora ridondante e didascalico, “M:I. Dead Reckoning” è un giocattolone ipertrofico la cui profondità drammaturgica sta tutta in una chiavetta-crocetta, ma che permette allo spettatore di trascorrere quasi tre ore senza mai annoiarsi, rivivendo, in vesti nuove, rassicuranti emozioni del passato. Senza l’ansia della “parte due”: questa “prima” appare già sufficientemente conclusa e a sé stante, pur con quel sottomarino ancora da ritrovare e la globale minaccia da sventare…

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.