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ANIMALI NOTTURNI di Tom Ford. Solitario per redenzione solitaria

Tom Ford a Venezia per Animali Notturni“Animali notturni” di Tom Ford. Susan è una ricca e bella gallerista americana sposata in seconde nozze con Hutton. Seconde nozze, seconda vita: la giovane Susan lasciò il primo marito Edward, aspirante scrittore, perché non credeva in lui; la Susan di quasi quattro lustri dopo è tradita dall’attuale consorte e si rende conto di aver tradito se stessa isolandosi dentro una bolla asettica. L’energia di un tempo s’è infatti ribaltata in una perenne e sonnambolica insonnia, le effervescenti speranze per un futuro diverso si sono anestetizzate in un presente luccicante di grigio conformismo.

Miccia della crisi interiore di Susan sono le bozze del romanzo che l’ex marito le invia per ricevere un suo parere. Parere fondamentale, se è vero che lo scritto è a lei dedicato. La lettura vorace e notturna fa emergere nella devitalizzata gallerista i tratti accesi di altri “animali notturni”, quelli del romanzo, che Susan lega immediatamente alla propria vita e al passato con Edward, trasferendo le fattezze di quest’ultimo a Tom, il protagonista del romanzo. Il passato emerge a sua volta, in un terzo piano d’immagini il cui portato destabilizzante si colloca esattamente a metà strada tra il presente e l’immaginazione.

Jake Gyllenhaal a Venezia per Animali Notturni
Jake Gyllenhaal a Venezia per Animali Notturni

A legare le tre dimensioni, un inesausto gioco di rimandi e

Amy Adams a Venezia per Animali Notturni
Amy Adams a Venezia per Animali Notturni

sovrapposizioni. E la parola che campeggia su un quadro (inconsciamente) acquistato da Susan: “Revenge”, vendetta. Quella che Tom e l’Edward di oggi inseguono con tutte le proprie forze. Il primo – si capisce subito – nei confronti di coloro che gli hanno tolto moglie e figlia, il secondo – si capisce a poco a poco – nei confronti di Susan. Tanto che il romanzo sembra il sottotesto di quel ch’è stato il loro rapporto: l’ordine e le raffinate armonie losangeliane si capovolgono nel selvaggio caos texano, mentre le tensioni taciute e i silenzi rifugio degli anni vissuti insieme balzano fuori dal terreno e si incarnano nei delinquenti, nella violenza ferina e gratuita, nella palpabile paura e nella vendetta consumata.

Quest’ultima, d’altronde, è forse la faccia di una medesima medaglia chiamata “espiazione”, tappa dolorosa e imprescindibile della lunga deviazione che conduce alla presa di coscienza del protagonista. Questo progressivo spossessamento è patito e agito da Susan, non a caso, “nel mezzo del cammin” della sua vita, ossia in un fondamentale e inatteso momento di pausa e, dunque, di bilancio. Il punto d’approdo di questo viaggio dentro di sé è lo stesso di George Falconer, il protagonista di “A Single Man”, l’opera prima di Ford: una totale e salvifica solitudine. Oltre la quale può spalancarsi soltanto il nulla, fine e potenza di ogni cosa.

Sono molte le corrispondenze tra “A Single Man” e “Animali notturni”, dalla derivazione letteraria di entrambi al ritorno (arricchito) dell’uomo seduto a oziare sul water (là il protagonista, qui il super cattivo). Soprattutto, è il piacere del gioco delle corrispondenze ad accomunare i due film: alla maniera di Marcel Proust, Ford potenzia non tanto l’azione quanto la sua sospensione, attivando i piani – paralleli e lontani – del ricordo, della rielaborazione e dell’immaginazione attraverso elementi del presente che a quelli (immediatamente e inaspettatamente) collegano. Elementi visivi – le silhouette dei corpi nudi messe in comunicazione in “Animali notturni”, corpi vivi nel presente e morti nell’immaginazione ma con la medesima carica estetica –, e anche sonori – il ritmico rumore della ragazzina che gioca (ri)vista dal protagonista di “A Single Man” attraverso la finestra del bagno. Nel suo secondo film, inoltre, Ford evita due escamotage – ingenui e talvolta stucchevoli – cui era ricorso nel primo: la voce narrante e i repentini e didascalici mutamenti cromatici (il colore ravvivato a significare i nuovi stimoli o, al contrario, desaturato a rimarcare la loro sparizione, fino all’improbabile bianconero da spot di moda dei due amanti al sole).

In questo senso, “Animali notturni” rappresenta un passo in avanti verso uno stile omogeneo e solido. I salti nel passato e nell’immaginazione, inoltre, poggiano su una solida architettura drammaturgica, offrono anzi la drammaturgia portante dell’intero film essendo essi la messa in immagini del romanzo letto da Susan. Un ulteriore passo in avanti, quindi, se si considera che i momenti di sospensione di “A Single Man” erano invece per lo più dei “salti nel vuoto” dentro una narrazione (presente) già di suo ricca e avvincente. Le scene con il compagno di George – dal loro primo incontro al dialogo sul divano – stentano infatti a elevarsi oltre lo stereotipo privo di sviluppo, fiacche suggestioni che non giovano alla forza del film nel suo complesso.

Tuttavia, è proprio sul versante delle incursioni delle altre dimensioni in quella presente che “Animali notturni” costituisce un passo indietro nella poetica fordiana: pur essendo fragili, i momenti di sospensione di “A Single Man” si sviluppano a partire dal racconto di una giornata (tipo e finale) del protagonista, sono slanci improvvisi, vitali e sorprendenti dentro il tessuto compatto della storia; in “Animali notturni”, invece, la loro scansione è dettata da un vero e proprio testo-secondo, il romanzo letto da Susan. Ad emergere non sono quindi brandelli sciolti e (quasi) casuali che arricchiscono armoniosamente un presente denso e precisamente diretto, ma una narrazione immaginaria parallela e compiuta che stride con quella del piatto presente, divorandosela. Il risultato è che in “Animali notturni” nessuno dei tre piani – presente, passato e immaginazione – conquista lo spettatore perché nessuno dei tre si integra con (né è di sostegno a) gli altri.

Probabilmente, una loro sintesi – ch’è insieme manifesto della poetica di Tom Ford – va ricercata nella prima scena del film: le mostruose maggiorate nude riprese in ralenti, pose e fotografia da star della moda.

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.