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“Terminator: Genisys”: nell’autoironia di Schwarzenegger, il disincanto del film

“Terminator: Genisys”: nell’autoironia di Schwarzenegger, il disincanto del film

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terminator genisys

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La sera di lunedì 6 luglio presso The Space Cinema Moderno di Piazza della Repubblica a Roma, introdotta dal suggestivo spettacolo di tre giocolieri che, sul palco, tagliavano l’oscurità con le figure cangianti e variopinte tracciate dai loro lacci e cerchi led, s’è tenuta la prima italiana (in 3D e lingua originale) del quinto capitolo cinematografico (ce n’è un altro televisivo) della saga “Terminator”, ossia “Terminator: Genisys”. Che è, insieme, una sorta di ripresa, capovolgimento e sguardo dietro le quinte del primo film, quello, inarrivabile, diretto da James Cameron più di trent’anni fa. Anche in “Genisys”, infatti, si parte dal futuro (2029) e si approda al passato (1984). E, riprendendo le vicissitudini degli altri film, ci si spinge in avanti fino al 2017. Il conflitto finale, pertanto, avviene sostanzialmente ai giorni nostri. La posta in palio è sempre doppia, salvare Sarah Connor, colei che genererà John, la guida della resistenza umana contro il futuro predominio delle macchine, e impedire che questo stesso predominio abbia la possibilità di realizzarsi, ovvero distruggere la rete SkyNet prima che questa possa intaccare l’intera sfera digitale. E così, ancora una volta, Kyle Reese, il discepolo di John che – ormai lo sanno tutti – ne è anche il padre, viene da quello mandato indietro nel tempo per salvare Sarah. Che però stavolta si presenta tutt’altro che ignara della sua missione, anzi, coinvolta in prima persona in una resistenza ante litteram. Angelo custode – suo e del film – è sempre il cyborg di prima generazione interpretato da Arnold Schwarzenegger. Il quale, robot rivestito di tessuti umani, risente come l’attore dello scorrere del tempo. Non a caso, Sarah lo chiama «Papà». Anche perché il futuro modificato ha modificato a sua volta il passato, ed è stato proprio il cyborg ad occuparsi di una Sarah rimasta prematuramente sola. E cambiato è anche Kyle: nel momento della partenza ha intravisto un agguato teso dalle macchine a John. Che, infatti, si ripresenta nel passato, mutato geneticamente e caratterialmente: il figlio vuole eliminare la madre e il suo discepolo… A cambiare tutto verso il meglio ci penserà, ancora una volta, Schwarzenegger.
Al quale il peso dell’età suggerisce provvidenzialmente un’autoironia che mancava alle sue precedenti interpretazioni robotiche: adesso, nella centrale di polizia, non arriva più a bordo di una moto, ma a piedi e portando un enorme orso di peluche… E, se il sorriso non è nel suo dna digitale, ci pensa una forzata e comica smorfia, a strappare qualche risata allo spettatore. Che non è certo quello di trent’anni fa: è smaliziato, egli stesso geneticamente modificato dai mille volti che la saga di “Termninator” e gli altri compagni di viaggio sci-fi hanno assunto in questi anni Duemila, dispersi come sono tra prequel, sequel, remake, reboot, web e videogiochi. Anche il grossolano paradosso di certe situazioni di questo “Genisys”, quando si incontrano personaggi legati ad epoche diverse, e quindi il figlio si confronta con una madre e un padre della sua età, e quello stesso padre viene a sapere nello medesimo tempo che il suo maestro è suo figlio e che per generarlo egli perderà la vita, il tutto sotto gli occhi di «Papà»… Beh, il paradosso di tali situazioni, più che involontario o ridicolo, è inevitabile: sulla superficie liscia e mutante come metallo liquido del nostro mondo digitale post-moderno gli estremi si toccano, l’uno diventa l’altro senza soluzione di continuità. Ed ecco un paradosso ancora più sconcertante: nel disincanto generale, l’unico barlume di verità sembra provenire dal volto e dal corpo di un cyborg segnato dal tempo.

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