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A Venezia 80 “Aggro Dr1ft”: una nuova, estrema immersione audiovisiva di Harmony Korine

Harmony Korine acclamato dal pubblico della Sala Grande al termine di “Aggro Dr1ft” (Foto di Massimo Nardin)

Proiezione speciale ieri sera e fan in visibilio per la nuova opera audiovisiva di Harmony Korine.

 

L’ingresso nel Palazzo del Cinema della delegazione di “Aggro Dr1ft” capeggiata da Korine (Foto di Massimo Nardin)

 

Bo – interpretato da Jordi Mollà, a Venezia con due film – è un killer prezzolato, “il più bravo assassino del mondo”. Il suo amore è totale, tanto per la famiglia (i figli e l’avvolgente moglie-madre chioccia) quanto per il lavoro, praticato con chirurgica spietatezza. Lavoro insidiato dal discepolo Zion – la superstar del rap Travis Scott –, tentato a spiccare il volo da solo. La missione di Bo raccontata nel film è il passo ultimo, definitivo: uccidere il demone Toto, ossia colui che segue Bo sin dall’inizio come un’ombra e un gran burattinaio.

 

L’ovazione del pubblico della Sala Grande per Korine al termine della proiezione (Foto di Massimo Nardin)

 

Drammaturgia essenziale, minima e archetipica come nelle altre sue opere, quella di Korine. Se valori e riferimenti culturali non fossero così distanti, persino agli antipodi – nonostante,
in fondo, gli abitanti si affaccino sullo stesso oceano – i film di Korine potrebbero essere paragonati a degli haiku. L’incedere di immagini, parole e suoni – artefatti, vivisezionati, ridisegnati da lenti termiche, distorsioni e creazioni post – può persino richiamare alla mente un film di Yasujiro Ozu, la sua ingenua e insieme massimamente ragionata e profonda struttura, con quella impostazione – letteralmente “quadrata” – della scena sempre uguale e diversa e la conseguente successione di campi ravvicinati (tra la figura intera e il mezzo primo piano) e totali. Qualcosa di simile – e di diametralmente opposto – accade e si ripete instancabilmente, ipnoticamente nei film di Korine, e in “Aggro Dr1ft” all’ennesima potenza: vicenda “già vista” milioni di volte, evoluzione drammaturgica scarnificata al grado zero della fiaba, reparto valoriale il più scontato possibile – soldi, potere, amore, sesso, armi –, brandelli di frasi-mantra (“Io sono un eroe, io sono un eroe, io sono un eroe…”) e sonorità che si ripetono senza posa, a costellare blocchi narrativi che somigliano
ai pochi mattoncini Lego di una costruzione elementare. Perché – forse come in Ozu – l’obiettivo non è la trasmissione di informazioni né la descrizione di una realtà, ma la –
semplice e destabilizzante – condivisione di un’esperienza estetica, un flusso cromatico e sonoro che modula lo scorrimento del nostro tempo comune.

 

Con Harmony Korine e una interprete di “Aggro Dr1ft”

 

Ecco quindi, al termine della proiezione speciale di mezzanotte alla presenza del cast, l’esplosione di entusiasmo incontrollato – e generosamente alimentato dallo stesso autore, trattenutosi per mezz’ora – del pubblico veneziano. Quello rimasto sino alla fine,
ovviamente, ché molti spettatori erano nel frattempo scappati…

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.