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“Coup de chance” a Venezia 80: il cinquantesimo film di Allen entusiasma il Lido

Woody Allen sul red carpet di Venezia 80 (Foto di Sabina Filice)

Proiettato fuori concorso oggi a Venezia 80 il cinquantesimo film di Woody Allen.

La giovane Fanny è sposata in seconde nozze con Jean, un uomo misterioso e più grande di lei, un faccendiere dai dubbi affari e i torbidi trascorsi che “rende i ricchi ancora più ricchi”.
Fanny sembra felice, nel grande e lussuoso appartamento in una zona esclusiva di Parigi, tra ricche battute di caccia ed esclusivi soggiorni fuori città. Un giorno, mentre si reca alla casa
d’aste dove lavora, viene fermata dal coetaneo Alain, uno scrittore incompreso, suo ex compagno di liceo ai tempi in cui Fanny viveva a New York. La scintilla, che all’epoca
aveva fatto perdutamente innamorare, non corrisposto, Alain, scoppia ora in un amore clandestino e travolgente, l’esatto opposto del rapporto che la donna vive col marito, un
amore inatteso e improvviso fatto di semplicità e adolescenziale complicità. Un amore che Jean, efficacemente coadiuvato dai suoi scagnozzi, non tarda a scoprire…

In occasione del suo cinquantesimo film, Woody Allen torna a Parigi per la terza volta, e per la prima fa recitare gli attori in francese. La città che fotografa, assistito dal sodale e
magistrale Vittorio Storaro, è sospesa e irreale insieme, avvolta da un’omogenea luce autunnale, una sorta di “crepuscolo in piena luce”.
L’evoluzione del dramma imbocca vie spietate, la caratterizzazione dei personaggi fa trasparire dell’animo umano un comune gretto egoismo che la patina profumata delle
convenzioni sociali non riesce a celare, affiora tutta l’ottusa stupidità tanto dei “malvagi” quanto dei “buoni”, i confini tra bene e male, insomma, si assottigliano e sbiadiscono nella
luce piena, malinconica e “indifferente” del film… eppure si respira un’aria di densa leggerezza, quello “stato di grazia” che molti critici hanno colto nell’ultraottantenne Allen.
Il quale riesce qui nel miracolo di creare un’opera fresca e cadenzata, in cui le emozioni crescono con passo matematico e ogni inquadratura è il tassello di un puzzle perfettamente
completo in cui nulla è di troppo.
E non è d’altronde un caso se sul colpo di scena che chiude un film proposto quasi provvidenzialmente verso la conclusione del consueto tour de force festivaliero, tra trite sofferenze esistenziali e mal riuscite ambizioni d’autore, la sala di Venezia sia scoppiata in una fragorosa risata liberatoria. Ancora una volta: grazie Allen!

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.