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La Festa del Cinema applaude “Mur”, documentario di denuncia di Kasia Smutniak

Kasia Smutniak riceve l’ovazione del pubblico della Festa del Cinema di Roma (Foto di Massimo Nardin)

Kasia Smutniak riceve l’ovazione del pubblico della Festa del Cinema di Roma (Foto di Massimo Nardin)

Dopo la première al Toronto Film Festival, “Mur”, opera prima dell’attrice Kasia Smutniak, è approdato ieri sera alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Special Screenings, colpendo ed entusiasmando il pubblico.
Il “Mur” del titolo è quello, lungo centottantasei chilometri e alto cinque metri e mezzo, eretto dalle autorità polacche lungo il confine con la Bielorussia e volto ad impedire il transito dei migranti arrivati in qual paese da Africa e Siria e poi puntualmente espulsi verso l’Europa e dunque, anche, la Polonia. Mur, più che un enigma, suona come un’atroce beffa,
un’inaccettabile ingiustizia, una contraddizione ipocrita e una discriminazione lacerante, se è vero che, nello stesso momento, altri migranti, quelli ucraini, ricevono dalle medesime
autorità polacche una ben più benevola accoglienza.
ll documentario segue la sua autrice-attrice durante il viaggio di una settimana effettuato nel marzo 2022 nel proprio paese natio, dalla partenza dall’Italia al raggiungimento del confine,
dalla sosta in casa dei nonni alla penetrazione – clandestina e pericolosa – all’interno della zona interdetta. In quel periodo infatti la costruzione – che sarebbe stata terminata tre mesi
dopo – offriva ancora dei varchi di accesso, sfruttati dai migranti nel loro percorso attraverso il bosco più antico d’Europa (Puszcza Białowieża) e nel parallelo tentativo di eludere ad ogni passo la sorveglianza delle forze dell’ordine polacche, impegnate nelle loro
ricerche con ogni mezzo, droni compresi. Smutniak e compagni (ri)vivono e fanno vivere allo spettatore quella tensione, non soltanto intervistando alcuni attivisti interni ed esterni
(tra i quali c’è anche l’italiana Silvia), ma mettendo a rischio la propria stessa incolumità seguendo le orme di quei migranti fino all’agognata meta.
Smutniak impreziosisce il proprio reportage inserendo immagini di repertorio dell’archivio Associated Press e documenta tutto con agili videocamere, talvolta con semplici smartphone
necessariamente nascosti (come negli agghiaccianti, veri momenti dei controlli di frontiera).

 

 

Kasia Smutniak alla Festa del Cinema di Roma (Foto di Massimo Nardin)

 

 

L’autrice mantiene il fecondo atteggiamento del reporter che vuole conoscere e sperimentare in prima persona, perseguendo sempre l’obiettivo più importante: la verità, qualunque essa sia. Anche a costo di evidenziare la miopia morale della propria stessa nonna, quando costei dimostra di non considerare, o comunque di accettare come una fatalità, un altro muro, quello dell’ex ghetto ebraico di Łódź che lei vede ogni giorno dalla finestra del proprio
appartamento. Parimenti, Smutniak si sforza di mantenere un atteggiamento distaccato, ciò che fa emergere con destabilizzante naturalezza tutte le contraddizioni di una situazione estrema, come le guardie disposte a mettersi in posa davanti alla macchina fotografica e – nel destabilizzante finale – l’accoglienza opposta riservata ai migranti ucraini.
Smutniak non prende le parti di nessuno, lei “è” parte di un unico momento, di un’esplorazione che non conosce né accetta barriere. Donde le si perdonano certamente un trasporto a tratti eccessivo e alcune ingenuità narrative troppo imparentate con l’estetica
social, anzi, tali aspetti rinvigoriscono il portato autentico della sua testimonianza. Perché lei, qui, è un’autrice totale che mette a nudo e in gioco se stessa, le proprie abitudini e convinzioni e la propria vita, disposta persino a sorvolare il confine a bordo di un aliante (chissà che non abbia rivissuto qui la passione per il paracadutismo e il grave lutto che
sconvolse la sua vita…).

 

 

Con Kasia Smutniak alla prima di “Mur” alla Festa del Cinema di Roma

Massimo Nardin è Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione e organizzazioni complesse, docente universitario presso l'Università LUMSA di Roma e l'Università degli Studi Roma Tre, diplomato in Fotografia allo IED Istituto Europeo di Design di Roma, giornalista pubblicista, critico cinematografico, sceneggiatore e regista. È redattore capo della sezione Cinema della rivista on-line “Il profumo della dolce vita” e membro del comitato di redazione di “Cabiria. Studi di cinema - Ciemme nuova serie”, quadrimestrale del Cinit Cineforum Italiano edito da Il Geko Edizioni (Avegno, GE). È membro della Giuria di “Sorriso diverso”, premio di critica sociale della Mostra del Cinema di Venezia, e del Festival internazionale del film corto “Tulipani di seta nera”. Oltre a numerosi saggi e articoli sul cinema e le nuove tecnologie, ha pubblicato finora tre libri: “Evocare l'inatteso. Lo sguardo trasfigurante nel cinema di Andrej Tarkovskij” (ANCCI, Roma 2002 - Menzione speciale al “Premio Diego Fabbri 2003”), “Il cinema e le Muse. Dalla scrittura al digitale” (Aracne, Roma 2006) e “Il giuda digitale. Il cinema del futuro dalle ceneri del passato” (Carocci, Roma 2008). Ha scritto e diretto diversi cortometraggi ed è autore di due progetti originali per lungometraggio di finzione: “Transilvaniaburg” e “La bambina di Chernobyl”, quest'ultimo scritto assieme a Luca Caprara. “Transilvaniaburg” ha vinto il “Premio internazionale di sceneggiatura Salvatore Quasimodo” (2007) e nel 2010 è stato ammesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al contributo per lo sviluppo di progetti di lungometraggio tratti da sceneggiature originali; nell'autunno 2020, il MiBACT ha ammesso “La bambina di Chernobyl” al contributo per la scrittura di opere cinematografiche di lungometraggio.