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Oltre le sbarre, così cinque detenuti “evadono” dal carcere grazie al teatro, aspettando Godot

Grazie Ragazzi cast Ph. Sabina Filice

“Con la cultura non si mangia”. La battuta attribuita a Giulio Tremonti, all’epoca potentissimo Ministro delle Finanze di berlusconiana memoria, è il sottofondo non manifesto del nuovo film di Riccardo Milani che un anno dopo il grande successo di Corro da te torna sul grande schermo con Grazie ragazzi una commedia agrodolce dove con la cultura, e il  teatro in particolare, cinque detenuti riescono ad avere la loro “seconda possibilità” mettendo in scena addirittura Aspettando Godot di Samuel Beckett.

Ci riescono grazie alla testardaggine di un attore semifallito che da qualche anno per vivere si dedica al doppiaggio di film porno ma che intravede in quei carcerati il desiderio di riscossa, la capacità di guardare oltre le sbarre che li imprigionano nella routine del carcere.

Un maestro che si chiama Antonio Albanese, che quando lascia la maschera un po’ stantia di Cetto Laqualunque ritorna ad essere un attore completo, e i cinque detenuti che si trasformano da comparse in veri attori di teatro sono Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini,  Andrea Lattanzi insieme a Bogdan Iordachioiu, carcerato rumeno.

Antonio (Albanese) che osserva gli aerei e i treni passare dal suo monolocale a Ciampino, alle porte di Roma, attore senza più una parte riesce nel suo intento grazie ad una direttrice del carcere all’avanguardia, Sonia Bergamasco, e all’amico regista Fabrizio Bentivoglio che lo sprona a ritrovare le sue radici.

Ispirato dal fortunato film francese Un Triomphe scritto da Emmanuel Courcol e Thierry de Carbonnie’res e diretto da Emmanuel Courcol, a sua volta liberamente ispirato alla vera storia di Jan Jonson in un penitenziario svedese, Grazie ragazzi arriva nelle sale il 12 gennaio in 450 copie con Vision Distribution, prodotto da Palomar e Wildside.

“Voglio raccontare in modo semplice e fruibile temi anche complicati e il tentativo anche stavolta è questo – ha spiegato il regista e sceneggiatore del film con Michele Astori – non saprei se il film è una commedia: è un film che ha al centro l’umanità, con detenuti, agenti di custodia e attori. Il personaggio di Albanese cerca di trovare l’umanità dove questa è un po’ schiacciata”.

Schiacciata dai numeri perché delle carceri si parla solo nel nostro Paese quando c’è una evasione, basta guardare ai recenti fatti del Beccaria di Milano, oppure per i suicidi, nell’ultimo anno in Italia sono stati ben 84 con l’anno appena passato che ha segnato il suo record in negativo. Eppure se il sistema penitenziario deve servire a “ricostruire” l’identità di chi ha peccato certamente la cultura potrebbe giocare come arma per la rivalsa. E’ ciò che prova a fare il film, senza retorica, mettendo al centro l’altro da sè, come direbbe il filosofo francese Paul Ricoeur che si materializza proprio quando si recita una parte che non è quel copione che invece la vita ci ha assegnato.

Nella pellicola i detenuti non evitano le pene a cui sono stati condannati, né c’è intenzione di assolverli, però è importante che abbiano avuto un’opportunità di rivalsa. “Mi è sembrato di rivivere la stessa sorpresa dei miei inizi, considerando che intorno ai 22 anni non pensavo minimamente di fare questo mestiere – ha detto Antonio Albanese – Quello con il teatro, con la recitazione è stato un incontro casuale. Interpretare questo personaggio mi ha sorpreso e credo sia stato lo stesso per gli altri attori che hanno interpretato i detenuti, sono stati tutti molto bravi a “tatuarsi” addosso la disperazione di quel contesto. Credo fortemente poi che, al di là del carcere, avvicinarsi alla cultura diventi importantissimo per chiunque, ma mi sembra che oggi come oggi sia una cosa a cui si presta sempre meno attenzione. Il film racconta anche questo, del modo in cui con le nostre piccole cose possiamo aiutare a migliorare la vita di tutti. L’opera di Beckett poi è una parola senza tempo, straordinaria, piena di senso, ti riempie”.

E giorno dopo giorno è proprio quello che accade a questi cinque detenuti, fino a quel momento lontanissimi dalla cultura e da qualsiasi forma espressiva. Senza cedere allo spoiler, il finale è diverso dalla storia realmente accaduta in Svezia nell’85 e dal film francese, ma resta un inno agli ultimi, troppo spesso dimenticati nelle carceri e non solo.