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A Venezia 81 il docufilm “Vittoria” di Cassigoli e Kauffman emoziona e conquista

A Venezia 81 il docufilm “Vittoria” di Cassigoli e Kauffman emoziona e conquista

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Proiettato oggi in Orizzonti Extra “Vittoria” di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, prodotto da Zoe Films, Scarabeo Entertainment, Ladoc e dalla Sacher Film di Nanni Moretti e distribuito in Italia da Teodora Film e da IntraMovies all’estero. Un film inclassificabile, che parte da una storia vera mantenendone i protagonisti e trasfigurandone gli eventi vissuti. Messi, ora, al centro di una narrazione nuova e di una confezione audiovisiva compiuta (musiche sempre di Giorgio Giampà), rispettose al contempo di tutto quanto (già) accaduto. La protagonista assoluta, colei che la macchina da presa dei registi esplora nel granitico e tenero volto e nei gesti di tensione e speranza, è la quarantenne Marilena “Jasmine” Amato, già interprete del ruolo (anche là reale) della proprietaria del salone da parrucchiere a Torre Annunziata che dava il titolo al precedente “Californie” e offriva la decisiva opportunità lavorativa alla piccola eroina di quel film.
Per quanto modesta economicamnte, la vita di Marilena sembra perfetta: accanto a lei un marito sereno e fedele (Gennaro Scarica) e tre figli maschi in salute e con l’ambizione di costruirsi un futuro, il maggiore dei quali, Vincenzo, addirittura prosegue l’attività della madre. Eppure, il sogno e una pervasiva sensazione segnalano alla donna che, vicino a quei quattro maschi – il “quinto”, il padre, l’è stato da poco portato via dall’amianto dell’Ilva di Napoli-Bagnoli -, ci sia la necessità di una seconda donna, un quarto figlio, finalmente una figlia femmina. Una nuova gravidanza, comunque problematica alla sua età, Marilena non la vuole. Il suo sembra pertanto un desiderio impossibile, e la cartomante che apre il film glielo conferma in maniera inoppugnabile. Per rintracciare dunque fuori di sé quella figlia mai avuta e da sempre agognata Marilena decide assieme al marito – e nonostante la contrarietà iniziale dell’intera famiglia – di affrontare il tortuoso cammino delle adozioni internazionali. Una scelta che, per la prima volta in due decenni, pone la sua famiglia ad un bivio: scissione o unione rafforzata?


Torre Annunziata ancora una volta al centro del microcosmo di Cassigoli e Kauffman: dopo la “Butterfly” Irma Testa e, appunto, “Californie”, ecco un terzo capitolo. Che riprende lo stile e l’approccio inconfondibili della coppia di registi spostando il cammino verso un autentico road movie che li catapulterà in Bielorussia assieme alla coppia di (futuri) genitori. Un approccio di continua scoperta, se è vero che – come hanno detto i registi in conferenza stampa – in quella “piccola cittadina racchiusa tra il Vesuvio e il mare durante le riprese di “Butterfly” abbiamo conosciuto e girato alcune scene con Jamila, giovane ragazza marocchina, poi diventata la protagonista del nostro primo film di finzione “Californie”. E proprio durante la lavorazione di “Californie” abbiamo conosciuto Jasmine, che ci ha convinti fin da subito per il suo carattere determinato e la sua naturalezza. Un giorno, durante una pausa pranzo, Jasmine ci ha raccontato una sua vicenda molto intima e personale che ci ha immediatamente colpiti”.


E quindi, seguendo un approccio ben percepibile già nel primo film, “Butterfly”, classificabile – pur con molte riserve – come documentario (su una pugile orgoglio nazionale), i due registi si sono dimostrati ancora una volta in grado di far dialogare la realtà, sentimenti vissuti e spesso indicibili e veri conflitti aperti, con la finzione, ovvero la scrittura, un copione, un canovaccio che a quella stessa pregressa realtà (ri)dà forma. Come se fosse proprio la scrittura, il processo di razionalizzazione assente nel momento del “vissuto in diretta”, a dare all’esperienza nuova luce e ad aprire nelle sue pieghe squarci di senso inattesi eppur coincidenti con gli originali all’epoca rimasti sotto la sabbia della contingenza e di urgenze difficili da elaborare. Ecco allora che, sotto il fiume principale della missione-adozione, scorrono carsici i rivoli d’acqua delle vicende parallele, la causa legale per la morte del padre, il marito e il primogenito alle prese con una ridefinizione delle proprie professioni, le prospettive e le contraddizioni di un orfanotrofio bielorusso… “Quando abbiamo iniziato il processo di scrittura – hanno rivelato i registi – ci è stato chiaro sin da subito che Jasmine e suo marito Rino sarebbero stati in grado di interpretare la loro storia, permettendoci così di fondere l’esperienza della vita reale con le possibilità della scrittura. Quello che non avevamo previsto era che la messa in scena sarebbe diventata lo spazio in cui i protagonisti avrebbero portato i loro conflitti irrisolti e che tutto questo potesse essere catturato dalla macchina da presa e restituito in maniera diretta ed emotivamente forte allo spettatore”.

Una tale narrazione femmino-centrica e “materna” lascia spazio al contesto, a piccoli gesti e profondi silenzi, che i registi sanno catturare sempre con discrezione e lucidità. Vita e regia si compenetrano e si dirigono reciprocamente: come in “Butterfly”, alla fine, sarà proprio un uomo (possibile alter ego dei registi e trasposizione dell’intera operazione filmica) a dare la scossa decisiva, chiudere il cerchio, aprire ad una nuova vita e regalare allo spettatore un’emozione raramente così potente.

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