Aldo, Giovanni e Giacomo un docufilm per raccontare un’Italia che non c’è più
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“Io, dico la verità, questo film non lo volevo fare”. Alla fine è Giacomo Poretti, il mitico Tafazzi nell’immaginario collettivo, a svelare l’imbarazzo e il timore che un documentario sul trio (“Attitudini: nessuna” in uscita il 4 dicembre solo al cinema) possa essere una sorta di requiem, una pietra tombale su tre attori che, nel bene e nel male, stanno sulle scene da oltre quarant’anni, attraversando tre generazioni. “Solitamente – dice ai giornalisti presenti all’anteprima del lungometraggio firmato dalla regista italofrancese Sophie Chiarello – questo tipo di documentari vengono realizzati per chi non c’è più…ma spero non sia il nostro caso!”.
Eh già, nei 118 minuti di proiezione, è facile farsi scappare qualche lacrima, insieme a qualche risata che ha però il sapore della nostalgia, di un tempo andato che non c’è più. Come i luoghi dell’infanzia, dalle scuole ai quartieri dove i tre ragazzi sono cresciuti, in una Milano dove si giocava a calcio per le strade e dove si andava in fabbrica a lavorare a 13 anni. Un altro mondo, un Paese che non c’è più. “È quasi un viaggio, una relazione più che un racconto”, ha detto Giovanni Storti.
Un viaggio che racconta gli inizi, gli anni d’oro di Mai dire gol, le stagioni al Derby fucina di futuri comici da Paolo Rossi a Teo Teocoli, l’approdo al cinema con Tre uomini e una gamba che nel 1997, l’anno di Avatar, riuscì a diventare uno dei film italiani più visto. Ma anche gli insuccessi come ‘Fuga da Reuma Park” che nel 2016 ha segnato il punto più basso del trio.

“Riflettendoci, da lì in avanti abbiamo un po’ rallentato l’attività del trio: ognuno di noi ha fatto qualcosa di molto significativo e con un’assoluta libertà. Nessuno degli altri due ha impedito agli altri di fare cose, senza gelosia”, ha spiegato Giacomo Poretti. “Non è mai esistita la possibilità concreta di scioglimento: era soltanto la necessità fisiologica, anche artistica, di prendere tempi diversi per essere sempre propositivi”, ha aggiunto Aldo Baglio – “anche perché quando siamo in tre siamo un clown solo”.
Certo, oggi ognuno cerca di costruirsi un suo spazio, un proprio percorso. Lo stesso Aldo, quello che urlava a piene mani “Miiii non ci posso credereeeee…” è tornato in Sicilia, sua terra d’origine, Giacomo si è dedicato ad un podcast di successo e Giovanni racconta sui social la vita delle piante e il bisogno di una vera ecologia.
Così questo docufilm, distribuito a dicembre in 400 copie, è una scommessa ardita. Perché sotto le feste e con tutti i problemi della quotidianità andare al cinema per riflettere su ciò che eravamo e non siamo più è molto temerario. Potrebbe essere un “docu-panettore” come lo hanno lanciato e pensato Aldo, Giovanni e Giacomo ma anche déjà vu pericoloso…Un po’ come ricordare la Grande Inter di Helenio Herrera o quella di oggi che a volte c’è e altre volte, purtroppo, molto meno.



